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I tormenti del medico di famiglia. “Non farò mai tamponi in studio. Qui non creo focolai”. La dottoressa tra virus, burocrazia e oltre 1.600 pazienti

La Repubblica. La dottoressa Bianchi è una poveretta, e lo sa. Come lei, tutti i medici di Milano, e se vogliamo allargare ancora, tutta la categoria dei medici di famiglia. «Ci chiedono di tamponare le persone. Non ci penso nemmeno, siamo già malmessi così», lei ha appena comprato 60 camici monouso per fare i vaccini anti influenzali, «pagati di tasca mia, circa 600 euro» comprese le mascherine Fp2, i guanti, due termometri nuovi, la visiera è ancora quella della prima ondata, «comprata nella cartoleria qui sotto». È sola, nel suo studio di via Procaccini, veramente nella stanza accanto c’è una psicologa, ma fa ben altro lavoro. Marina Bianchi ha 59 anni, 1600 pazienti e fa parte dell’Associazione medici di famiglia Sempione, sette professionisti, «nessuno che voglia tamponare in studio. Vogliamo creare nuovi focolai? Allora facciamo i tamponi qui, guardi come sono messa, e io ho già uno spazio grande rispetto ad altri».
In effetti, dove? Una scrivania con una sedia per lei e una per il paziente, si gira a destra e c’è il lettino, un paravento, un armadio per i medicinali, non c’è da scialare. «Ho scritto sulla nostra chat: posso sempre farli sul balcone, che è grande. All’aperto, più sicurezza. Mi hanno riso dietro: vuoi fare la Terrazza Martini! Ah ah». Ma al balcone ha pensato seriamente, mentre le tende svolazzano perché le finestre sono aperte per cambiare aria e fa un bel fresco, nonostante la giornata di sole.
«E guardi che io sono favorevole a fare più tamponi possibile, ma non qui. Ci vorrebbero locali adatti, disinfettabili, forse dovrei comprare le macchine a vapore che usano negli ospedali? Ma figuriamoci. Trovino dei locali nelle Asl, o facciano un tendone in piazza Duomo», e magari ci arriveremo, «ma rischiamo seriamente di creare nuovi ambienti Covid positivi. Non per niente gli ospedali fanno i drive through… Perciò l’idea mi sembra pericolosa, e anche da matti».
E già per i vaccini, son problemi. Per ora «faccio così: ambulatorio la mattina, pomeriggio solo vaccinazioni. Ho suddiviso i pazienti in turni, quattro ogni quarto d’ora. Poi pausa, spalanco tutto e ricomincio. Trenta al giorno». Ma poi c’è quello che arriva in anticipo e si piazza nell’ingresso, e c’è quello che arriva in ritardo, «così devo pagare gli straordinari alla segretaria, munita di protezioni — è ovvio — così smista lei il traffico. Io mi bardo come si deve, vaccino, e avanti il prossimo».
Intanto, suonano alla porta. Signora molto anziana, con paltò e carrello della spesa. Niente mascherina. «Signora, metta la mascherina, sennò non può entrare». E avanti un altro. La Bianchi finora ha fatto un solo test sierologico, «mesi fa. Non ho mai avuto l’esito. Ho chiesto alla Asl, nessuna risposta. Non ho mai fatto un tampone io, come potrei farli ai pazienti?». È una buona domanda. Intanto, è molto preoccupata per due malati: «Uno ha 75 anni, indice di saturazione 91, se scende ancora devo chiamare il 118 e farlo ricoverare. Un altro sente un gran peso sul petto, ho prescritto cortisone, temo di doverlo ricoverare». I saturimetri sono suoi, tre li ha comprati, due glieli ha regalati un’azienda farmaceutica. Li presta a chi ha bisogno, poi vengono restituiti e disinfettati e finiscono ad altri pazienti.
E «vogliamo parlare della burocrazia? ». Digitale, ma burocrazia, forse erano meglio le scartoffie visto che il sistema è lento, il portale non funziona, ed è anche respingente: «Esempio: studente in classe con un caso positivo. Devo registrarlo come contatto, ma ho bisogno del codice fiscale del caso. La scuola non me lo può dare per via della privacy. Che si fa? Poi, i “contatti” non vengono più tamponati. Io li segnalo, ma non vengono contattati. Forse non ci sono abbastanza tamponi». Così, la gente «è smarrita. Non capisce, quindi tende ad autoisolarsi, il che è pericoloso soprattutto per chi ha una patologia cronica». Quindi, «tutti noi siamo arrabbiati, con la Regione, con il Cts, con chi doveva preparare questo momento. Hanno avuto tutta l’estate, e siamo in questa condizione da poveretti». E se mai si mettesse a fare i tamponi in studio, «il condominio mi caccerebbe subito. Ho già avuto problemi per l’ascensore, alcuni non vogliono che i miei pazienti lo usino perché potrebbero infettarlo», e allora tutti a piedi.

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