Il disavanzo determinato dall’incorporazione dell’ex Inpdap ha creato un problema contabile, ma il pagamento delle pensioni non è a rischio. Alla fine di una giornata incandescente il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, con un comunicato stampa ha gettato acqua sul fuoco che si era acceso in mattinata dopo la sua audizione presso la Commissione bicamerale di controllo. «C’è piena e totale sostenibilità dei conti della previdenza e dell’Inps – ha precisato in serata –. Nessun allarme e nessun allarmismo. Oggi mi sono limitato a ribadire quanto ho affermato lo scorso mese di luglio nell’annuale relazione al Parlamento e che cioè il disavanzo ereditato dall’ex Inpdap non deve trasformarsi in un sintomo di incertezza sulla tenuta della previdenza italiana». Le spese di funzionamento dell’Inps ammontano a circa 5 miliardi metà dei quali per pagare gli stipendi ai 26mila dipendenti.
Mastrapasqua ha quindi detto che «c’è solo un problema contabile, che non mina la certezza dei flussi finanziari. Nessun rischio nè per oggi nè per domani. Le pensioni sono e saranno regolarmente pagate». Insomma, il problema c’è ma il sistema tiene.
I numeri del “buco” non sono una novità ed emergono dal bilancio consolidato 2012, il primo dopo la fusione di Inpdap ed Enpals nell’Inps. Il risultato economico di esercizio della gestione dei dipendenti statali è negativo per 7,1 miliardi, mentre quella patrimoniale lo è per 17,3 miliardi a fronte di un totale generale dell’istituto di previdenza pari a -12,2 miliardi quanto a risultato economico e a 21,8 miliardi di situazione patrimoniale.
In mattinata, però, le agenzie di stampa avevano riportato le dichiarazioni di Mastrapasqua che affermava di aver scritto ai ministri Saccomanni e Giovannini, invitandoli a fare un’attenta riflessione sul bilancio dell’istituto, essendo il disavanzo patrimoniale ed economico qualcosa che, visto dall’esterno, può dare segnale di non totale tranquillità.
Nella relazione del presidente Inps alla commissione parlamentare si legge che i problemi sono determinati dal fatto che la gestione ex Inpdap incamerata dall’Inps a seguito del Dl 201/2011 ha portato “in dote” un deficit patrimoniale complessivo di oltre 10 miliardi, nonché uno squilibrio economico strutturale ascrivibile alla consistente contrazione delle entrate contributive determinata dal blocco del turn over nel pubblico impiego e al continuo aumento delle uscite per prestazioni istituzionali a fronte di trasferimenti statali che non corrispondono del tutto ai fabbisogni, soprattutto riguardo alla quota erogata in anticipazione. Quindi «sarebbe auspicabile che fosse approfondita e valutata, nelle sedi competenti, l’opportunità di eventuali interventi normativi, tesi a garantire l’efficiente ed efficace implementazione della più grande operazione di razionalizzazione del sistema previdenziale pubblico».
Prima ancora della precisazione di fine giornata di Mastrapasqua, l’allarme è stato ridimensionato dal ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, secondo il quale si tratta di un problema tecnico oggetto di valutazione. «Abbiamo parlato anche l’altro giorno con il ministro Giovannini e ci sta lavorando la Ragioneria», ha dichiarato il ministro da Bruxelles, dov’è impegnato all’Eurogruppo che precede l’odierna riunione dell’Ecofin. Si vedrà se l’eventuale soluzione tecnica potrà essere adottata con un emendamento al Ddl stabilità in discussione al Senato.
Il disavanzo dell’ex Inpdap, in effetti, è determinato, oltre che da problemi strutturali, dalla legge Finanziaria 2008, che ha trasformato da crediti in debiti i trasferimenti stanziati dalla legge 35/1995 a coperatura delle pensioni degli statali quando venne istituita la relativa cassa che assorbì tutte le vecchie gestioni previdenziali pubbliche.
Secondo Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, invece di allarmare i lavoratori occorre «aprire una discussione chiara e puntuale sullo stato di salute dell’Inps e sul mantenimento delle prestazioni per tutti i lavoratori». Unchiarimentosui conti èauspicato anche dal segretario generale dell’Ugl Giovanni Centrella, che sottolinea l’opportunità di separare la previdenza dall’assistenza mentre per Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, si dovrebbe discutere su comeridistribuire a pensionati e lavoratori le risorse derivanti dai risparmi della riforma Fornero.
Tornando alla relazione, Mastrapasqua ha ricordato i risparmi sui costi di gestione che l’Inps dovrà garantire dopo l’incorporazione di Inpdap e Enpals: valgono 100 milioni l’anno dal 2014. Altri 530 milioni annui saranno invece risparmiati con l’applicazione della prima spending review, un aspetto sul quale aveva posto la sua enfasi, l’altro ieri davanti alla stessa commissione anche il neo-eletto presidente del Civ, Pietro Iocca. Andamento economico dell’anno scorso e situazione patrimoniale al 31 dicembre 2012
Dall’Inpdap «buco» da 10 miliardi
Lo squilibrio strutturale già denunciato dalla Corte dei conti si è aggravato dopo il 2009
È l’abbraccio con l’Inpdap, l’istituto di previdenza dei lavoratori pubblici, a spiegare una buona parte dei problemi dell’Inps che, anche se con un gioco di dare-avere fra le diverse gestioni “proprie”, avrebbe di suo un consolidato in equilibrio. L’unione con l’Inpdap, discussa per anni, è stata decisa a fine 2011 con il decreto «Salva-Italia», che ha dato vita al “Super-Inps” anche per creare sinergie in grado secondo le stime governative di far risparmiare almeno 100 milioni all’anno. L’istituto del pubblico impiego, però, insieme ai suoi 2,8 milioni di pensionati, ha portato in dote 10,1 miliardi di deficit fra entrate contributive e uscite per prestazioni e 10,2 miliardi di disavanzo patrimoniale, generato da un debito arrivato a quota 25,2 miliardi.
Il problema è noto, al punto che la legge di stabilità 2012 ha attivato nuovi meccanismi per finanziare le prestazioni Inpdap e per portare sotto i 7 miliardi di euro sia il disavanzo di parte corrente sia quello economico. I generosi interventi statali, come notato dalla Corte dei conti nella relazione sull’ultimo bilancio dell’Inpdap autonomo, non possono «correggere lo squilibrio strutturale» dell’Istituto, che nasce da un cortocircuito progressivo: tra 2002 e 2011 le uscite sono aumentate in media del 4,6%, contro il +2,8% registrato nella colonna delle entrate, ma la distanza fra le due gambe del bilancio Inpdap è cresciuta a dismisura dal 2009: cioè da quando la crisi di finanza pubblica ha moltiplicato i blocchi alle assunzioni e alla crescita degli stipendi, e ha aperto nuove vie per le «cessazioni» anticipate: nel 2009-2011, ultimi tre anni di vita dell’Inpdap, le entrate hanno arrancato intorno a un tasso di crescita dell’1% annuo, e le uscite hanno corso a ritmi quasi cinque volte superiori.
In queste condizioni, uno squilibrio strutturale non è evitabile, e l’orizzonte non mostra ipotesi di cambi di rotta. La macchina della Pubblica amministrazione è ancora al centro di un complicato tentativo di “razionalizzazione”, che poggia prima sulla conferma dei limiti alle nuove assunzioni, con qualche ritocco settoriale 7 Nel pubblico impiego la «cessazione» indica genericamente l’uscita dal servizio, e non coincide necessariamente con il pensionamento. Per questa ragione gli ultimi censimenti dell’Indpap, oggi accorpato all’Inps, distinguono le cessazioni per raggiunti limiti di età o di servizio (nel 2011 l’80% del totale nelle Pa centrali, e il 61% negli enti territoriali) da quelle per dimissioni, decesso, invalidità e altre cause che non cambia la sostanza del problema. Frenare le assunzioni significa ridurre la spesa di personale degli enti pubblici, ma anche abbassare le entrate contributive delle gestioni previdenziali, chiamate invece a erogare un numero di pensioni crescenti perché il pubblico impiego continua a invecchiare. Un circolo vizioso, questo, che ha azzoppato anche la “razionalizzazione” avviata con la spending review: dopo un lungo lavorio, sono stati individuati solo 7mila «eccedenze» su 3 milioni di dipendenti, e lo strumento per gestirle è prima di tutto quello dei prepensionamenti. Anche per questo, forse, l’estensione del meccanismo alle amministrazioni locali non si è mai tradotta in un decreto attuativo.
La fabbrica delle pensioni costa 5 miliardi
Sarà capitato a molti di chiamare l’Inps. E i meno fortunati avranno atteso minuti interminabili alla cornetta, prima di ottenere risposta. Efficiente o meno, quel servizio di call center nel 2013 sta costando 72 milioni di euro, secondo il bilancio preventivo dell’istituto di previdenza.
Più o meno come i medici deputati alle visite di controllo: la loro “parcella” di quest’anno è prevista di 70 milioni. Tanti? Pochi? Dipende dall’efficienza: se si stanano molti falsi malati, allora il prezzo è giustificato.
In ogni caso, l’Inps spende di più per convegni, pubblicità e consulenze: sono altri 110 milioni nel bilancio 2013. Quale sia poi l’esigenza di rendere visibile la propria presenza è controverso, per un ente che deve incassare contributi obbligatori e pagare (sempre obbligatoriamente) pensioni.
Arriviamo poi alle spese esterne: quest’anno, 220 milioni vengono utilizzati per pagare altri enti per erogare i trattamenti e 142 milioni per riscuotere contributi. Ma con 26mila dipendenti, che costano all’istituto di previdenza pubblica 2,5 miliardi l’anno (praticamente la metà dei 5,027 miliardi previsti come totale delle spese di funzionamento dal bilancio 2013) ci si chiede in quale misura sia effettivamente necessario esternalizzare il lavoro, se magari riqualificando parte del personale non si possa aumentare la quota di attività svolte all’interno.
Tutte queste cifre entrano nei flussi pensionistici e assistenziali governati dall’Inps, che valgono oltre 300 miliardi l’anno. I 5 miliardi di spese di funzionamento (stipendi e costi vari) hanno subìto una limatura di solo l’1,5% rispetto al 2012. È però vero che l’Inps sarà sottoposto a cura dimagrante: tra spending review e sinergie con Inpdap e Enpals sono attesi risparmi per più di 500 milioni. Il 10% sull’intero bilancio dell’ente.
L’Inps ha poi un patrimonio immobiliare da 1,8 miliardi bloccato, che secondo la Corte dei conti ha da anni rendimenti negativi.
Le mine contabili
Ma le mine vere per i bilanci dell’ente sono di altra natura. Dopo le perdite per 9 miliardi nel 2012 e quelle attese per altri 9 nel 2013, c’è il rischio, se le perdite non dovessero arrestarsi, di vedere azzerato il capitale dell’istituto entro il 2015. La forbice tra entrate e uscite dopo l’incorporazione con l’Inpdap si sta allargando a macchia d’olio. E accumulare deficit così copiosi ogni anno rischia di mandare in fumo il patrimonio.
Non c’è solo l’Inpdap ad aggravare i conti. Da sempre le gestioni speciali sono in profondo rosso. Il fondo degli ex dirigenti d’azienda, l’Inpdai (ritornato sotto le ali pubbliche, pena il fallimento) ha un disavanzo di ben 3,7 miliardi; l’ex fondo telefonici è in deficit per 1,2 miliardi; quello degli ex lavoratori elettrici è in rosso per 1,9 miliardi. Infine, l’ex fondo trasporti perde 1 miliardo. In totale, il deficit dei quattro fondi sfiora gli 8 miliardi. Sono in rosso anche le gestioni degli artigiani per 5,6 miliardi e quella dei coltivatori diretti per 5,5 miliardi. Tutti questi deficit escludendo quello dell’Inpdap, valgono 19 miliardi.
Lo sbilancio è quindi strutturale. Cosa succederà all’Inps? Ovvio, non fallirà: ci penserà lo Stato a ripianare il buco. Come? Con i trasferimenti diretti all’Inps. Sono stimati in 95 miliardi nel 2013. Erano di 89 miliardi nel 2012 e di 81 miliardi nel 2011. Quattordici miliardi in più in soli due anni e nelle stime c’è una progressione che porta la bolletta dei trasferimenti statali a superare i 100 e passa miliardi nel 2014 e 2015. Una partita di giro. L’Inps perde, lo Stato deve ripianare con somme sempre più consistenti.
Il conto è nell’aumento della spesa pubblica che finirà compensato da maggiore tassazione. Ecco in quei 100 miliardi il costo per la collettività dello sbilancio tra entrate e uscite per le pensioni.
Lo spettro dei residui
L’altra grana che è stata sollevata più volte dalla Corte dei conti è nella mole gigantesca dei residui nel bilancio Inps. Quelli attivi, cioè gli incassi pregressi ancora da ricevere, ammontano a 134 miliardi, quelli passivi (pagamenti degli anni passati da effettuare) sono di 109 miliardi.
C’è uno sbilancio di 25 miliardi di entrate ancora da ricevere rispetto alle uscite da pagare. E, se si scoprisse che parte di quei soldi sono inesigibili perchè troppo vecchi, allora si aprirebbe un altro buco “vero” nei conti dell’istituto.
Altra preoccupazione è la continua svalutazione dei crediti contribuitivi. All’Inps mancano versamenti vecchi per 80 miliardi e di questi 33 miliardi sono stati svalutati. Un segno che la crisi pesa. Anche sui conti dell’istituto
Il Sole 24 Ore – 15 novembre 2013