Sergio Rizzo. Gli esperti internazionali concordano: la nostra sanità non è poi così malaccio, almeno in rapporto alla spesa. Potrebbe sembrare un paradosso visto che, quando si parla di tagli, asl e posti letto finiscono in cima alla lista degli obiettivi da colpire finchè qualcuno non alza barricate invalicabili.
Ora il ministro di turno, il leader di un partito, le Regioni. Nessuno si sottrae a questo gioco. Il fatto e’ che in Italia non c’è una sola sanità pubblica. Ce ne sono venti. È il prodotto di un regionalismo assurdo arrivato a garantire diritti fondamentali diversi a cittadini di uno stesso stato che pagano le medesime imposte a un identico Erario soltanto perché costoro hanno la fortuna (o la sfortuna) di vivere in territori diversi. Una follia: della quale nessun governo si e’ mai voluto occupare. Ci sono situazioni, come il Trentino-Alto Adige, dove il servizio sanitario nazionale assicura il rimborso delle spese odontoiatriche ai giovani fino a 18 anni, e situazioni come quella della Calabria dove si sono verificati casi di reparti chiusi per ragioni igieniche. Al Sud c’è uno stato di cose spesso inaccettabile: magari non mancano le eccellenze, ma l’emigrazione dei pazienti verso il Nord è costante e continua, con diseconomie per almeno un miliardo di euro l’anno. E se dai 75 miliardi del 2001 ai 111 del 2013 la spesa sanitaria è salita del 48% senza un corrispondente miglioramento della qualità, vuol dire che di grasso da eliminare ce n’è fin troppo. Magari anche con un occhio alle migliaia di strutture private convenzionate dei re e reucci delle cliniche, i quali spesso godono di un rapporto privilegiato con la politica. Supponendo che il livello qualitativo delle prestazioni sia identico e considerando l’inflazione, ci sarebbero 15 miliardi l’anno di troppo. Lo sanno anche i tecnici che da anni si affannano intorno ai cosiddetti costi standard. Non è possibile che una siringa acquistata da un certo ospedale abbia un prezzo triplo di quella comprata da un ospedale della Regione vicina, argomentano giustamente. Ma nonostante gli studi, le discussioni, le simulazioni, la montagna ha partorito il topolino. Il risultato della prima applicazione dei costi standard sa tanto di presa in giro. Eppure per il buonsenso non dovrebbero esserci dubbi: il costo standard è semplicemente il più basso. Per le siringhe, i bisturi, le garze, l’albumina, le macchine da tac. Un concetto inattaccabile. Tradurlo in pratica comporterebbe risparmi enormi e crediamo immediati, senza pregiudicare la qualità del servizio. Perché non si segue questa strada? Dicono che è impossibile, talmente differenti sarebbero le condizioni da Regione a Regione. Sospettiamo che il motivo sia lo stesso per cui non si riduce il numero abnorme delle stazioni appaltanti, nè si adotta un regolamento edilizio unico per tutti i comuni. Si metterebbe pesantemente in discussione il principio di «autonomia» regionale, che talvolta è solo «autonomia» dello spreco e del disservizio. Per di più nel settore dove girano i soldi veri: ben oltre metà del bilancio delle Regioni. Meglio tenersi le venti sanità diverse, con gli ospedali mai aperti e le asl magari piene di medici ma senza infermieri. E tutto quel grasso intorno. La nostra Costituzione, secondo cui tutti i cittadini hanno uguali diritti, può serenamente attendere
Il Corriere della Sera – 13 settembre 2014