Enrico Marro. Finirà davanti al Tar del Lazio, con una class action, cioè un ricorso collettivo, il nodo dell’«opzione donna». Si tratta della possibilità concessa dalla legge 243 del 2004 (governo Berlusconi) per le donne con almeno 57 anni d’età e 35 anni di contributi di andare in pensione ma con l’assegno interamente calcolato con il metodo contributivo (ci si perde in genere almeno il 15-20% rispetto a calcolo retributivo).
Questa possibilità era prevista dalla legge in forma sperimentale, fino al 31 dicembre 2015. Con una circolare l’Inps aveva stabilito che le domande per accedere a opzione donna si potevano presentare fino alla fine del 2014 perché aveva inglobato nei termini la vecchia «finestra mobile» di 12 mesi che vigeva all’epoca della legge. Questa interpretazione è stata contestata da più parti e in Parlamento sono state approvate mozioni per riportare i termini al 31 dicembre di quest’anno.
Tre mesi fa il Comitato opzione donna, che attraverso facebook ha mobilitato le donne interessate, ha avviato la procedura per la class action diffidando l’Inps ad annullare la circolare. L’Inps è intervenuta il 2 dicembre con un messaggio interno ai propri uffici con il quale ha riaperto i termini per la domanda in attesa di ricevere istruzioni dai ministeri vigilanti (Lavoro ed Economia), che non risulta siano ancora arrivate. In sostanza gli sportelli Inps devono continuare ad accettare le domande anche nel 2015, ma non si sa se esse poi verranno accolte. Il comitato opzione donna ha ritenuto insufficiente il messaggio Inps e ha quindi deciso di avviare il ricorso collettivo, che, una volta raccolte tutte le adesioni, sarà depositato al Tribunale amministrativo del Lazio entro il 31 marzo prossimo. Il Tar dovrà pronunciarsi entro i 120 giorni successivi. Opzione donna è diventata più appetibile dopo la riforma Fornero che ha innalzato bruscamente i requisiti per la pensione.
Il Corriere della Sera – 13 febbraio 2015