Ilaria Venturi. L’ultima frontiera nel vassoio a scuola è il pasto vegano. Il Comune di Bologna ha dato il via libera, con l’accordo dei genitori e la firma di un pediatra. Il segnale, non senza polemiche, di stili di vita che cambiano e si impongono anche nel pranzo tra i banchi.
Dagli spaghetti alle olive ai fagioli all’uccelletto, dalle diete “no carne” alle sperimentazioni tentate a Roma di paella e fish and chips, sino ai piatti regionali, come quelli made in Puglia che il Comune di Bari sperimenterà dal prossimo anno: nelle mense scolastiche c’è ormai una babele di menu, dove crescono le diete alternative per motivi religiosi o culturali.
Nelle scuole milanesi i menu differenziati per motivi religiosi ed etici sono aumentati da 5.355 nel 2011 a 6.983 nel 2015, mentre quelli per ragioni di salute sono passati, nello stesso periodo, da 3.060 a 3.031. Lo racconta un’indagine di Milano Ristorazione. Una stima nazionale la fa invece Mariachiara Giorda, studiosa di religioni che ha condotto ricerche sulle mense scolastiche e il pluralismo religioso: negli ultimi cinque anni, le diete per motivi di fede e culturali sono cresciute all’incirca dal 5 al 6 per cento. «Da una parte occorre garantire la libertà religiosa e di pensiero. Dall’altra, assicurare il diritto a un cibo adeguato, preservando il valore educativo del sedere alla stessa tavola e del condividere ciò che si mangia», mette in guardia la ricercatrice. «Mia figlia a 7 anni è tornata da scuola convinta che i fondamentalisti musulmani non mangino carne perché altrimenti muoiono. Chi si occupa di ristorazione a scuola dev’essere anche preparato culturalmente ».
Menu all’avanguardia sono sperimentati da Ribò, la società formata da Elior-Gemeaz e Camst che serve 18mila pasti al giorno nelle scuole bolognesi. «Introdurre la dieta vegana è un modo per regolamentare un fenomeno in aumento», spiega Emilia Guberti, direttore del servizio igiene, alimenti e nutrizione del Comune. Una novità che ha acceso il dibattito, con il parere contrario di Emilio Franzoni, neuropsichiatra infantile dell’Alma Mater, che boccia i piatti vegan nelle scuole: «Nell’età della crescita li sconsiglio, il rischio è che portino a disturbi alimentari, come l’anoressia ». Sul fronte opposto i pediatri che seguono famiglie vegane. «I bambini crescono robusti e in modo equilibrato, per me è una dieta raccomandabile», dice Mario Berveglieri, specializzato in Scienze alimentari.
Il piatto vegan a scuola divide. E se Lucca, Pavia, Firenze, Torino lo hanno già introdotto, Rimini e Perugia si apprestano a farlo. Ma c’è anche chi ha detto no, come Parma, o chi ha scelto la strada della mediazione coi genitori: «Insegnare ai bambini a mangiare di tutto ha un valore», spiegano i nutrizionisti del Comune di Pordenone. I menu vegani sono già presenti nelle mense torinesi, dove mangiano 55mila bambini e ragazzi, circa 4.500 con vassoi alternativi: senza carne di maiale, senza alcun tipo di carne o senza né carne né pesce. La versione vegana, introdotta nel 2014 e servita a una quindicina di bambini, è concessa solo se i genitori forniscono un certificato medico e tengono un diario alimentare settimanale letto dai medici dell’ospedale infantile Regina Margherita, che così integrano i menu a scuola tenendo conto dei pasti a casa.
«Cerchiamo di venire incontro alle famiglie. Chi non può mangiare carne per motivi di fede, chi non può mangiare il pane perché intollerante al glutine», spiega Cristina Giachi, vicesindaco di Firenze dove i pasti vegan sono oggi serviti a una trentina fra bimbi e insegnanti senza certificato medico. A Roma, con oltre 144mila pasti giornalieri nelle scuole, ogni giunta ha avuto la sua sperimentazione: cibo etnico con Veltroni, piatti regionali ai tempi di Alemanno, menu europei con Marino. A Milano sono state sperimentate le giornate dei menu speciali: greco, siciliano, mediorientale. Ma a quella vegana si è deciso di rinunciare: gli alunni lasciarono quasi tutto nel piatto, specialmente il tofu.
Repubblica – 23 gennaio 2016