«Servono almeno 112 miliardi o non ce la faremo mai». I governatori tentano sul filo di lana l’ultima mediazione col Governo per fare alzare l’asticella dei fondi per la sanità oltre il muro dei 111 miliardi indicato da Matteo Renzi. E con loro fanno pressing insieme perfino i due presidenti delle commissioni di Camera e Senato, i sindacati, i medici pronti alla mobilitazione e agli stati generali della professione la prossima settimana sotto l’egida dell’Ordine.
E anche tutta la filiera delle industrie della salute, sebbene con profilo più basso ma non meno preoccupata, è in tensione. Tutti a caccia di un aumento della posta sul piatto del Ssn. Ma il Governo per ora non cede. Si capirà con certezza solo oggi in Consiglio dei ministri se Renzi darà l’ordine di allentare i cordoni della borsa sotto tutta questa pressione. E se l’Economia darà il suo avallo. Anche se da indiscrezioni che filtrano tra palazzo Chigi e via XX Settembre, non è da escludere che la cifra definitiva del Fondo sanitario 2016 la si deciderà solo al Senato dove la manovra tra una settimana comincerà la sua navigazione parlamentare. Quella potrebbe essere la sede per riavvolgere il nastro e mettere un punto fermo. Perfino mettendo in conto, da parte del Governo, la possibilità di dover affrontare la pressione sempre più forte della piazza intera della sanità pubblica per un mese intero. Ma intanto si partirebbe da quota 111 miliardi. Un miliardo in più del 2015, ma 2,3 in meno del previsto e stabilito con i governatori appena a luglio.
La “manovra sanitaria 2016” arriva oggi in Consiglio dei ministri con tante incertezze ma anche con un bel gruzzolo di nuove norme pronte per l’uso. Con misure che potrebbero essere riscritte o aggiustate cammin facendo. Ma anche con capitoli su cui – quantità del finanziamento a parte – la tensione è altissima tra Governo e regioni. Il capitolo farmaci è uno di questi, e non certamente secondario.
Sulla farmaceutica si stanno giocando almeno due partite. La prima è il ripiano per almeno 1,2 miliardi dello sfondamento da parte delle industrie per la spesa ospedaliera del 2013-14: ripiano i cui meccanismi sono stati bocciati da Tar e Consiglio di Stato. Governo e regioni vogliono correre ai ripari, anche con norme più soft e cambiando la procedura dal 2015 in poi. Potrebbe esserci una norma con un decreto a parte. La seconda partita è quella dei nuovi tetti, del pay back e dei farmaci innovativi: il tavolo ad hoc non ha concluso i lavori (doveva farlo entro il 10 ottobre) e non c’è stata alcuna conclusione. Il Governo deciderà da solo, con regole che i governatori non condividono? L’incertezza è grande.
Dove non sembra esservi incertezza è invece sull’anticipo nella manovra delle nuove regole sulla responsabilità professionale (inversione dell’onere della prova a carico dei cittadini), anche se l’economia ha chiesto conti precisi sotto l’aspetto finanziario. Ancora ieri era data per sicura anche la norma sui piani di rientro per gli ospedali (chi più, chi meno, pressoché tutti) in rosso: durerebbero tre anni sotto la regia regionale ma anche con l’affiancamento dei ministeri. Chi dopo tre anni non ce l’ha fatta, non potrà aumentare gli organici e acquistare col contagocce. E i manager perderebbero il posto. In arrivo anche finanziamenti per aumentare entro il 2020 di 6mila le borse di studio per gli specializzandi in medicina. Poi i risparmi da spending review per acquisti di beni e servizi, altra voce da 1 mld di euro.
Tutto questo mentre le regioni ancora ieri hanno discusso al Mef la possibilità di riconvertire i bond regionali: si risparmierebbe un miliardo, ma solo per alleggerire i conti regionali da quella parte della manovra extra sanitaria ereditata da Mario Monti che nel 2016 si trascinerebbe ancora per 2,2 miliardi. Una specie di “scambio” rispetto ai tagli alla sanità. Ma la strada non è esattamente in discesa. Tanto meno in tempi così rapidi.
Intanto le regioni battono cassa. Lo hanno fatto ieri affidando la posizione comune al coordinatore della sanità Sergio Venturi (Emilia Romagna): «Almeno 112 miliardi» è la richiesta. Richiesta rilanciata dai presidenti delle commissioni di Senato e Camera, Emilia Grazia De Biasi e Mario Marazziti, che con un (inusuale) comunicato congiunto hanno detto di «condividere» in pieno le preoccupazioni delle regioni e della ministra. Che ieri è rimasta in silenzio. Ma molto affaccendata.
Roberto Turno – Il Sole 24 Ore – 15 ottobre 2015