Con 27 voti a favore (appena 2 sopra la soglia di sopravvivenza) e l’opposizione fuori dall’aula, il consiglio regionale ha approvato ieri la legge sulla revisione dei project financing firmata dal governatore Luca Zaia. Un via libera a tempo di record, visto che il testo, depositato subito dopo le elezioni a Palazzo Ferro Fini, è stato licenziato dalle commissioni Bilancio e Infrastrutture soltanto una settimana fa. E ora si apre la delicata partita degli indennizzi ai privati cui sarà imposta la retromarcia: si parla di una cifra attorno ai 150 milioni di euro.
Se si eccettua la manovra di variazione al bilancio approvata in fretta e furia dopo il tornado in Riviera del Brenta, necessaria per lo stanziamento di 3 milioni di euro di aiuti, questa sui project financing è il primo, vero atto della nuova legislatura, politicamente pesantissimo, che segna una cesura netta col passato chissian-galaniano delle «Grandi Opere» e suona come un manifesto per i 5 anni che verranno: «Meno nastri d’asfalto e più bacini di laminazione». Non è un caso che Zaia, stravolgendo le liturgie dell’aula, abbia voluto presentarla da sé, saltando a piè pari il relatore (il leghista Francesco Calzavara) e il controrelatore (il dem Stefano Fracasso). «Chiedo al consiglio di mettermi nelle condizioni di “fare il tagliando” ai progetti» ha detto il presidente, quasi disconoscendone la paternità: «Si tratta di opere pensate 10 anni fa che ora rischiano di rivelarsi obsolete e troppo costosi, fuori mercato. Alcune risalgono alla notte dei tempi, praticamente tutte sono state ideate prima del mio arrivo alla presidenza. Ricordo che quando ci siamo insediati, nel 2010, abbiamo trovato un indebitamento di 4,3 miliardi e per 4 anni non abbiamo potuto muovere foglia. Questa legge ci permetterà di liberare risorse importanti, dirottandole sui progetti che davvero servono al Veneto». Zaia le ha provate davvero tutte per convincere l’opposizione a mettersi in scia. Prima l’ha blandita: «Questa non è “la legge di Zaia”, tutti i candidati ne hanno parlato in campagna elettorale». Poi ha strizzato l’occhio al governo Pd: «Ne ho discusso anche col ministro Delrio, lo strumento può essere valido ma se cambiano le condizioni economiche gli accordi vanno rinegoziati». Quindi ha ricordato le bacchettate della Corte dei Conti («Ce lo dicono anche loro, così non si può andare avanti»), sottolineato la continuità con un altra legge, approvata nella scorsa legislatura, che costringe la giunta a portare in consiglio i nuovi project («Così si chiude un cerchio»), attaccato a brutto muso: «Chi dice che l’obiettivo è togliere i cantieri a qualcuno per darli a qualcun altro, “gli amici”, sappia che tratteggia scenari delinquenziali, si rischia la galera». Niente da fare, la minoranza non si è lasciata persuadere e alla fine, per non votare né a favore né contro, ha deciso di uscire in massa dall’aula. Una scelta travagliata, specie tra i Cinque Stelle, perché va bene che l’opposizione deve fare il suo mestiere ma come glielo spieghi al popolo elettore che non hai appoggiato lo stop agli odiatissimi project, ormai incarnati con «Galan-e-Chisso»? Il democrat Fracasso, il «tosiano» Stefano Casali e il pentastellato Jacopo Berti, l’hanno ripetuto fino allo sfinimento: «Siamo disponibili a dire sì se la revisione va a toccare l’intera programmazione delle infrastrutture, i piani triennali, l’elenco monstre di 44 cantieri che a suo tempo Galan concordò con Berlusconi, dalla sublagunare al Palazzo del Cinema» (Fracasso); «Non ci sta bene, invece, che la giunta cerchi alibi chiedendo a noi “autorizzazioni” che un domani potrebbero chiamarci in corresponsabilità su decisioni che la giunta potrebbe benissimo prendere da sola. Niente scaricabarili sugli errori commessi in passato» (Berti-Casali). In effetti non risulta che la giunta si sia mai rivolta al consiglio per avviare i project, perché mai dovrebbe farlo ora per fermarli? (E a dire il vero non lo fece neppure quando interruppe l’iter della Via del Mare, investito da un’inchiesta). «L’avvocatura ci dice che così la nostra azione sarà più incisiva» ha risposto lapidario Zaia.
Tant’è, dopo lungo battagliare l’opposizione ha ottenuto che l’azione di revisione sia estesa dai 7 project individuati fin dal principio (Nogara-Mare, sistema delle tangenziali venete, Via del Mare, Grande raccordo anulare di Padova, Nuova Valsugana, Passante Alpe-Adria e Nuova Padana Inferiore) a tutti i project, anche al di fuori delle infrastrutture stradali. Nel mirino, ovviamente, ci sono i project della sanità (in mattinata anche la Cgil era entrata a gamba tesa sull’argomento) ma Zaia, che pure ha dato il suo placet, ha avvertito: «Per me va bene ma sappiate che la revisione è possibile solo per i progetti per cui è stato dichiarato il pubblico interesse ma non è ancora stata stipulata la convenzione di concessione. E in sanità, di questo tipo, project al momento non ce ne sono». Neppure quello del nuovo ospedale di Padova? «Ecco, quello potrebbe rientrare ma lì già da tempo è in corso una revisione molto, molto approfondita». Approvati in tal senso anche due ordini del giorno, uno di Sergio Berlato dei Fratelli d’Italia («Sono stati favoriti dei privati? Sono stati applicati tassi usurai?») ed uno del Pd che impegna ad applicare la spending review di Monti del 2012 (-10% sui costi di forniture e servizi) anche a gli ospedali costruiti in project, finora esclusi. Chissà perché.
Marco Bonet – Il Corriere del Veneto – 5 agosto 2015