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Il contratto collettivo fa spazio al lavoro a tempo. In alcuni casi si può arrivare fino a tre anni senza motivazioni

Il contratto a termine è lo strumento che meglio di altri si presta ad accompagnare le aziende nella fase di uscita dalla crisi. Nel 2012, i rapporti a tempo determinato hanno rappresentato il 69% di tutte le attivazioni, e il dato appare confermato anche per il 2013. La forma acausale del contratto, quella che non richiede di specificare le ragioni per l’apposizione del «termine», agevola ulteriormente il datore di lavoro.

L’acausalità è una possibilità già prevista anche in altri Paesi, come in Germania, dove è consentito stipulare un contratto senza causale per un periodo massimo di due anni.

Le regole generali

La norma di riferimento sul contratto a termine (il Dlgs 368 del 6 settembre 2001) prevede la stipulazione del contratto in forma scritta, sempre necessaria, pena la conversione in rapporto a tempo indeterminato, e l’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro.

Proprio l’obbligo della «causale» ha prodotto una mole consistente di contenzioso: il contratto a termine è spesso impugnato proprio per la mancata indicazione delle ragioni o per la loro non sufficiente specificità. Qualche prima apertura, sul vincolo della causale, è arrivata con la riforma del lavoro del 2012 (la legge 92/2012), modificata l’anno scorso dal Dl 76/2013 (convertito dalla legge 99/2013).

Attualmente, la specificazione delle ragioni da parte del datore di lavoro non è richiesta: 1 nell’ipotesi del primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a 12 mesi comprensiva di un’eventuale proroga, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore, per svolgere qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nel caso di prima missione di un lavoratore in un contratto di somministrazione a tempo determinato; 1 in ogni altra ipotesi individuata dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro più rappresentative sul piano nazionale.

Pur regolando lo stesso istituto, si tratta di due situazioni alternative e assai differenziate.

Il contratto acausale di legge

Il primo regime derogatorio è comunemente indicato come il contratto «acausale di legge»: la durata massima, inclusa l’eventuale proroga, non può superare 12 mesi, fermo restando che è ammessa la prosecuzione del rapporto per un massimo di altri 50 giorni (cosiddetti «periodi cuscinetto»); e soprattutto deve trattarsi del «primo rapporto a tempo determinato».

Il ministero del Lavoro (vademecum del 22 aprile 2013) ha precisato che il contratto a termine acausale di durata non superiore a dodici mesi può essere stipulato solo nelle ipotesi in cui non siano intercorsi precedenti rapporti di lavoro di natura subordinata (ad esempio un precedente contratto a tempo determinato o indeterminato o intermittente) tra lo stesso datore di lavoro e il lavoratore coinvolto.

Nel caso di pregressi rapporti di lavoro di natura autonoma tra gli stessi soggetti, invece, è stata ritenuta possibile la stipulazione di un primo contratto a termine acausale. In sostanza, il datore di lavoro può assumere un soggetto a tempo determinato, per esempio per tre mesi, prevedendo un periodo di prova iniziale, può quindi prorogare il contratto per altri 9 mesi (nel rispetto del limite massimo di durata di 12 mesi complessivi) e, quindi, può far proseguire il contratto per altri 50 giorni erogando le maggiorazioni economiche previste.

Le deroghe nei contratti

La seconda previsione, regolata da una norma molto sintetica, consente l’assunzione a termine senza indicazione delle ragioni in ogni altra ipotesi indivi7È «acausale» il contratto a tempo determinato che non specifica le ragioni per cui è stato apposto il termine. Può essere acausale il primo contratto a tempo determinato, di durata non superiore a 12 mesi (proroga compresa) e la prima missione di un lavoratore in un contratto di somministrazione a termine. È ammessa l’acausalità in altre ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali. duata dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative.

È un’ipotesi assolutamente alternativa, cui non si applicano i limiti previsti sulla durata massima e sul «primo rapporto». Per usare le parole del Ministero, la disciplina eventualmente introdotta dalla contrattazione collettiva in materia di contratto acausale va a integrare quanto già previsto direttamente dal legislatore.

I contratti collettivi, anche aziendali, possono prevedere, ad esempio, che il contratto a termine acausale abbia una durata maggiore di dodici mesi, o che lo stesso possa essere sottoscritto anche da soggetti che abbiano precedentemente avuto un rapporto di lavoro subordinato (circolare 35 del 29 agosto 2013).

Le start-up innovative possono stipulare un particolare contratto a termine per il periodo iniziale di 4 anni dalla data di costituzione (il periodo è inferiore per le società già costituite all’entrata in vigore del Dl 179/2012). In base alle regole fissate per queste società, sussistono automaticamente le ragioni giustificative se il contratto a tempo determinato, anche in somministrazione, è stipulato da una start-up innovativa per svolgere attività inerenti o strumentali all’oggetto sociale della stessa. Si tratta dunque di un contratto a termine simile a quello acausale già previsto dall’articolo 1, comma 1-bis, del Dlgs 368/2001, che può essere stipulato per una durata minima di 6 mesi (derogabile) e una massima di 36 mesi.

Il Sole 24 Ore – 3 febbraio 2014

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