Un fiore viola potrebbe contribuire a salvare le api dall’estinzione. È tutto italiano il progetto di Coldiretti, partito in questi giorni nella campagna di San Lazzaro di Savena, alle porte di Bologna. La più grande azienda sementifera italiana, la Sis (Società italiana sementi), società al 100 per cento italiana, controllata dai Consorzi agrari regalerà a tutti i coltivatori di mais una partita di semi di facelia che loro si sono impegnati a far crescere.
Perché proprio la facelia? Non solo perché è spettacolare per via della infiorescenza viola — la vendono anche i fiorai — ma perché è una pianta mellifera molto nutriente per le api che vanno ghiotte del suo polline. E il miele che poi se ne ricava è di alta qualità.
La strategia del mais-salva-api è tutta questione di tempismo. La facelia fiorisce da metà maggio fino a luglio. Cioè quando i poveri imenotteri sono un po’ in crisi. Un momento prima svolazzavano fra tutto il ben di Dio di fiori che era sugli alberi da frutto, ma con l’avvicinarsi dell’estate, di quel bengodi rimane ben poco. È la prima volta in Italia che gli agricoltori aderiscono a un progetto comune in difesa delle api.
I primi prati viola sono apparsi a San Lazzaro di Savena, nella frazione Idice, creando un po’ di ingorghi sulla via Emilia con molte auto che rallentano all’improvviso per scattare fotografie.
«Per ogni dieci ettari di mais, uno verrà coltivato a facelia — spiega Marco Conti, direttore della Sis —. Al progetto hanno aderito i grandi consorzi agrari del territorio dell’Emilia Romagna come Emilcap, Terre Padane e Adriatico che producono mais italiano, destinato a una filiera di qualità e cioè coltivazioni di mais, produzione di mangimi naturali, industria zootecnica e (in Emilia) Parmigiano reggiano».
Ma il circolo virtuoso non è finito. Quando il fiore si esaurirà, si userà come sovescio, cioè come concime naturale. Funzionerà davvero? «In pochi giorni — sorride Conti — i campi qui sotto i nostri uffici si sono riempiti di api arrivate da chissà dove e mai viste prima».
Daniela Camboni – Il Corriere della Sera – 17 giugno 2016