Se le cose fossero semplici come nel Gioco dell’Oca – avanti e indietro, indietro e avanti – ci si potrebbe ridere su. Ma quando si cambia nome quattro volte ad una tassa, se ne cambia la natura, la si emenda, quindi ci si ritrova con una tassa simile alla precedente, e se poi quella tassa è fra quelle a gettito sicuro come è quella sugli immobili, non c’è nulla da ridere.
Si rischia semmai la figuraccia di fronte ai cittadini e agli investitori internazionali. Eppure questo è quel che probabilmente accadrà all’Imu, ovvero alla nuova Iuc, che poi altro non sarebbe che la somma di Tasi – la nuova tassa sui servizi comunali indivisibili – e della Tari, la nuova tassa sui rifiuti.
Un minuto prima dell’approvazione definitiva della legge di Stabilità da parte della Camera (votata nella prima chiama con 350 sì e 196 no) , e appurata la decisione del governo di tirare dritto su uno schema che loro consideravano deleterio per la finanza locale, i sindaci dei grandi Comuni si sono organizzati in lobby e in un fitto scambio di telefonate hanno minacciato le peggiori cose al governo. La sintesi dei primi cittadini è questa: la Tasi così come concepita non funziona, perché a fronte di una aliquota applicabile in una forchetta compresa fra l’1 e il 2,5 per mille, mancherebbe il gettito necessario a finanziare le detrazioni per i meno abbienti o gli esentati dalla vecchia Imu. La Tasi rischia insomma di far pagare troppo poco a chi ha molto e troppo a chi ha poco. Così, con il sostegno attivo del ministro delle Regioni Delrio, hanno ottenuto l’impegno di Letta ad approvare entro la fine dell’anno – al più tardi i primi di gennaio – un decreto che modificherà i tetti dell’aliquota. I Comuni – questa l’ipotesi di lavoro – potranno modulare a loro piacimento la Tasi fra l’uno e il 3,5 per mille, ma l’applicazione dell’aliquota massima sarà possibile solo se il Comune introdurrà un sistema di detrazioni simile a quello in vigore per la vecchia Imu. Lo stesso meccanismo si applicherebbe all’aliquota sulla seconda casa: per questo il tetto potrebbe salire dall’attuale 10,6 all’11,6 per mille. In tutto, una operazione che vale 1,3 miliardi.
Nel giro di 48 ore ci potrebbero essere novità anche per la cosiddetta mini-Imu, quella dovuta dai Comuni che nel 2012 o quest’anno hanno alzato l’aliquota della vecchia tassa: Il Pd sta tentando di convincere il governo a sostenere un emendamento che la abroghi del tutto o almeno ne consenta la detrazione con il pagamento della Tasi. Gli interessati seguano il dibattito in corso sul decreto Salva-Roma in discussione alla Camera.
Dalla casa alla rete: dopo aver tentato di introdurre una norma che imponeva l’apertura della partita Iva a qualunque soggetto straniero che volesse operare in Italia e aver scoperto che la norma era apertamente in contrasto con i principi del mercato unico, cambierà anche la web-tax. «C’è bisogno di un coordinamento con le norme europee», ammette Letta. Un ordine del giorno firmato da quattro deputati Pd (Galli, Causi, Coppola, Bonaccorsi) impegna il governo a valutare la sospensione della norma. Nella maggioranza danno per certo che avverrà in uno dei prossimi decreti in conversione.
La Stampa – 21 dicembre 2013