«Il mio studio è in un quartiere di Roma che non si può definire popolare, eppure conto sempre più persone che rinunciano a fare un esame, perché i ticket sono troppo cari o le liste d’attesa impossibili. E poi c’è chi raccomanda di fare prevenzione…». Il dottor Francesco Buono ha appena finito di visitare il quarantesimo paziente della giornata. «E la cosa triste – ammette – è che di solito uno su cinque ritorna senza aver fatto l’accertamento che avevo prescritto».
Colpa dei tagli o degli italiani che preferiscono non sapere se c’è un problema di salute?
«Gli ansiosi che fuggono sono sempre esistiti, ma non mascheriamoci dietro a un dito: oggi non si fa prevenzione perché tra ticket salatissimi, liste d’attesa infinite e norme restrittive fare accertamenti è diventata una corsa ad ostacoli».
Ce l’ha per caso con il decreto che nega la rimborsabilità alle prestazioni considerate «inappropriate»?
«Sì, anche se ho letto che fortunatamente è in fase di revisione. Ma c’è una montagna di norme che di fatto limitano la prescrizione di un esame a quando c’è una patologia in atto, facendoci rischiare sanzioni e richiami se invece vogliamo cercare di prevenire una malattia. Se ti vedo ingrassato devo poterti prescrivere l’esame del colesterolo anche se non sono passati cinque anni dall’ultima volta».
Le sono mai capitati pazienti che hanno rinunciato ad un accertamento per le liste d’attesa troppo lunghe?
«Altroché. Poi chi ha un’assicurazione o può permetterselo va dal privato, ma gli altri si espongono a rischi anche seri. E sono sempre di più».
Qualche esempio?
«Ho prescritto un’ecografia a un paziente per una sospetta calcolosi alla colecisti. Non l’ha fatta perché c’era da attendere mesi ed è diventata una calcolosi delle vie biliari principali. Che si è potuta diagnosticare quando era giallo per l’itterizia. Fortunatamente non ci sono state conseguenze gravi. Ma non sempre è così. Tanti tumori li prendiamo tardi perché non si riescono a fare colonscopie a scopo preventivo in tempi decenti».
Anche i ticket contribuiscono?
«Certo, anche perché sono in costante aumento da anni. Per accertamenti costosi come Tac o risonanze l’unica alternativa è rinunciare. Ma per altri più economici il privato si è attrezzato offrendo pacchetti al prezzo dei ticket».
E non è un bene?
«No perché così si definanzia il servizio pubblico, che impoverendosi garantisce sempre peggio i meno abbienti».
Si parla tanto di screening preventivi, qualcuno li finanzia?
«Diciamo di si, almeno per patologie importanti come il tumore alla mammella, all’utero o al colon retto. Ma a volte si fissano delle soglie di età che non tengono conto della realtà che cambia. Gli screening per il tumore alla mammella, ad esempio, andrebbero estesi anche alle più giovani, dove si va diffondendo più che in passato. Ma senza soldi…».
La Stampa – 27 aprile 2016