Il Ministero: negativi campioni hamburger. Poggiani: bene i controlli, meno la grancassa mediatica
In nessuno dei campioni di hamburger e polpette a marchio “Country steak”, prelevati dai carabinieri dei Nas di Padova alla piattaforma di distribuzione Lidl di Arcole, in provincia di Verona, è stata riscontrata la presenza di Escherichia coli pericolosi per la salute. L’Istituto Zooprofilattico sperimentale delle Venezie, infatti, ha comunicato ieri i primi risultati delle analisi effettuate sui campioni di carni commercializzate in Italia della stessa marca sospettata di essere responsabile del focolaio di intossicazione alimentare da Escherichia coli verocitotossico che ha colpito i bambini francesi. Il sottosegretario Francesca Martini nel darne notizia ha sottolineato come in sole 48 ore sia «stato possibile effettuare le analisi del caso a garanzia del consumatore».
«Ciò dimostra l’efficienza del sistema di controlli nel nostro Paese che agisce in via precauzionale ritirando dal commercio gli alimenti sospetti finché non sono disponibili garanzie della loro sicurezza».
Una buona notizia, si dirà. Siamo seri però: a noi questa non sembra efficienza precauzionale ma una specie di terrorismo sanitario. Come mai non si è pensato, più seriamente e responsabilmente, di bloccare sì tutte le merci, fare le analisi e annunciare poi i risultati sui giornali e in televisione “a bocce ferme”? I vertici del ministero sostengono di aver voluto rassicurare i consumatori. Ma il dubbio che abbiamo noi è che le comunicazioni della Salute, accompagnate da trombe e grancasse, abbiano finito con l’alimentare l’allarmismo. Politici bisognosi di visibilità sanitaria? O una regia con fini protezionistico-doganali, magari alla ricerca di contributi? Mentre gli incolpevoli carabinieri dei Nas probabilmente non hanno neanche fatto in tempo ad effettuare i sequestri che già il ministero li annunciava nel telegiornale della sera.
Che cosa ne farà adesso la Lidl di 97 tonnellate di carni perfettamente sane ma del tutto incommerciabili a causa della “pubblicità” che hanno avuto?
Si potrà dire che questo è un problema marginale e che riguarda l’azienda. Una grande azienda straniera. E questo in parte è vero. Ma forse dovremmo anche cominciare a riflettere sulle difficoltà economiche degli italiani, sui carrelli della spesa sempre più vuoti, sui motivi che spingono le famiglie, italiane e immigrate, a comprare il loro cibo nei discount. E allora chiediamoci se era davvero il caso di “distruggere” così una fascia di prodotti sanissimi destinati giocoforza ai meno abbienti. E se la pubblicità negativa a un prodotto di basso costo ma con requisiti di salubrità non diventi anche e in parte un problema “sociale”.
Ci piacerebbe che qualcuno dei nostri politici da oltre 10mila euro al mese, venisse nelle nostre province a vedere la gente che ha ricominciato a far annotare la spesa “sul libretto” per poi pagare quando ha i soldi, a fine mese. Robe da albero degli zoccoli si dirà. Roba da Nord Est d’Italia, ribattiamo noi, perché quest’abitudine sta tornando e allora si riscopre che il botteghino di quartiere o di campagna ha una funzione sociale che i centri commerciali neanche si sognano: togliere la fame a quelli che con 500 euro al mese la carne definita di qualità se la sognano perché costa di più dei prodotti “primo prezzo” della grande distribuzione.
E allora è forse il caso di sottolineare che il consumatore non lo si garantisce con un blitz serale ad effetto mediatico. Lo si garantisce con il serio lavoro di ogni giorno, con il senso di responsabilità, con la consapevolezza che la sicurezza alimentare deve essere un diritto per tutti. Anche e soprattutto per chi fa la spesa al discount. Qui non sono in discussione i sacrosanti e tempestivi controlli, che andavano e vanno fatti bloccando e ritirando precauzionalmente tutti gli alimenti sospetti. È in discussione l’uso distorto mediatico che viene purtroppo spesso fatto di queste operazioni una tantum.
Roberto Poggiani
21 giugno 2011
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