Il neo-campanilismo e la sfida del cibo. Dal «Cibus» di Parma alla «Food week» a Milano. Gli eventi in concorrenza che non fanno sistema
Se Expo ci ha mostrato tutte le potenzialità del made in Italy agroalimentare non ne stiamo traendo le conseguenze. Il successo della manifestazione milanese avrebbe dovuto rappresentare la prova provata della necessità di ragionare in grande. Eppure sta accadendo proprio il contrario.
A dare inizio alle danze c’è stato prima un convegno nel quale la Fiera di Milano, che organizza da qualche anno la manifestazione Tuttofood, ha annunciato per il maggio 2017 di voler copiare il Salone del Mobile e creare la Food week, una corona di eventi attorno al tema del cibo. A distanza di 24 ore, invece, è stato il turno della Fiera di Parma, che ha presentato il tradizionale Salone dell’alimentazione — meglio conosciuto come Cibus — e a sua volta ha annunciato il programma dell’edizione che si aprirà il 9 maggio di quest’anno (con tanto di Fuorisalone). Ciascuno dei duellanti ha sciorinato i numeri che guarda caso suonano simili: 3 mila espositori a Milano e altrettanti a Parma, 70-80 mila visitatori in entrambi i casi. L’amministratore delegato di Fiera Milano, Corrado Peraboni, per perorare la sua causa ha ricordato come la città del Duomo «sia il secondo Comune agricolo d’Italia» e il ceo di Fiere di Parma, Antonio Cellie, ha ribadito a maggior ragione come dietro Cibus ci sia un’intera food valley. La sostanza è che nell’anno post Expo il sistema fieristico alimentare si ripresenta ai nastri di partenza annunciando due distinte manifestazioni in concorrenza tra loro e per di più in città che distano 100 km.
La domanda che ne consegue è di puro buon senso: l’Italia può permettersi di disperdere le forze in manifestazioni di taglia intermedia o potrebbe coltivare l’ambizione di organizzarne una sola, più grande? È chiaro che stiamo parlando di un sistema, quello delle fiere, che da noi è affetto da campanilismo virale al punto che nel piccolo business del franchising di eventi se ne organizzano tre. E prendendo in esame un segmento specialistico dell’agroalimentare, frutta e verdura, di minifiere ne possiamo contare sempre tre. A Rimini, a Milano e a Verona. In campo europeo a dettar legge e a contendersi il primato nel food sono l’Anuga che si tiene a Colonia e il Sial di Parigi. Il confronto sui numeri con Parma/Milano è impietoso: i tedeschi hanno chiuso l’ultima edizione con 160 mila visitatori e 6.700 espositori, Parigi rispettivamente con 155 mila e 6.500.
Che si debba un giorno o l’altro cambiar marcia lo pensano in tanti. Anche la Federalimentare, la potente associazione confindustriale del settore, da tempo partner di Cibus. E infatti il suo presidente Luigi Scordamaglia dichiara: «Non sarò soddisfatto fintanto che non si sarà realizzato un progetto unitario». Che però a oggi non solo non risulta essere in rampa di lancio ma nemmeno in fase di progettazione. Non molto differente è il giudizio del ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina. «Nel pieno rispetto degli operatori e della competizione di mercato sto facendo di tutto per costruire operazioni di sistema. La questione delle fiere è un nodo aperto da tempo e non posso che auspicare integrazioni e salti in avanti. Le manifestazioni italiane se vogliono avere un ruolo internazionale devono collaborare».
Su un differente registro si gioca, invece, il commento di Oscar Farinetti, che è stato una delle star di Expo e sta lavorando alla nascita di Fico, la cittadella bolognese del cibo: «Non sono appassionato di fiere e non so nemmeno se a questo punto si possa competere con i tedeschi sulle dimensioni quantitative. Ma visto che noi italiani puntiamo rigorosamente sulla qualità ogni fiera dovrebbe darsi, accanto ai traguardi commerciali, anche un obiettivo sociopolitico. Oggi, ad esempio, vorrebbe dire mettere al centro dell’attenzione il settore lattiero-caseario perché se non paghiamo il latte ai contadini non ne usciamo». Tutto nasce dalla terra e noi italiani «dobbiamo portare l’agricoltura verso la trasparenza totale, nel packaging dei prodotti deve essere tracciata tutta la filiera». La competizione globale, quindi, può essere approcciata aumentando la massa critica commerciale oppure privilegiando il versante qualitativo-identitario. Restare a metà del guado serve a poco.
Il Corriere della Sera – 21 aprile 2016