Dovrà essere la riforma del Titolo V, attualmente all’esame in seconda lettura al Senato, a dimezzare il contenzioso permanente Stato-Regioni sui poteri legislativi. Rispetto agli oltre 1.500 ricorsi presentati alla Consulta a partire dalla modifica delle competenze legislative tra centro e periferia introdotta nel 2001, più di 700 riguardano, infatti, materie che torneranno nei poteri statali.
Si va dal coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, che in questi tredici anni ha innescato un braccio di ferro tradottosi in oltre 300 cause, alle questioni inerenti la tutela della salute e a quelle relative al governo del territorio, che hanno generato rispettivamente più di 170 liti.
I ritocchi al Titolo V contenuti nel disegno di legge di riforma della seconda parte della Costituzione – che rimette mano anche all’assetto istituzionale, con la fine del bicameralismo perfetto e la nascita del nuovo Senato espressione delle autonomie – sono stati indotti dal fallimento del sistema disegnato nel 2001, che aveva riservato una serie di materie alla legislazione concorrente. Ed è stata proprio tale novità a generare il forte contenzioso davanti ai giudici della Corte – una media di oltre 120 ricorsi all’anno – chiamati in causa sia da Palazzo Chigi che dai governatori, ognuno impegnato a difendere le proprie prerogative.
Con la riforma in discussione sparisce la legislazione concorrente, con un travaso della maggior parte delle materie nell’orbita statale, e diventano più definiti gli ambiti di intervento di ciascuna amministrazione.
Se la prospettiva è quella di un contenzioso molto ridimensionato, già nel 2014 si è comunque registrato un rallentamento delle liti, confermando un trend in discesa iniziato nel 2013 e che ha portato negli ultimi due anni quasi al 55% in meno di cause.
Diminuzione che può essere attribuita anche al fatto che in questi anni la giurisprudenza della Corte si è consolidata e si è – come sottolinea l’ultimo studio della Camera dei deputati sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea – standardizzato il sistema di rapporti normativi tra livelli di governo. In questo quadro, la Consulta ha aperto più di una breccia in favore dello Stato. In particolare, con il prolungarsi della crisi economica i giudici si sono indirizzati verso un allargamento della competenza statale nelle materie finanziarie, con una conseguente compressione della sfera di autonomia regionale.
Se si guarda al dettaglio, il maggior numero di ricorsi è stato promosso dallo Stato, anche se prendendo in considerazione le sentenze di illegittimità dal 2002 a oggi ci si rende conto che i giudici costituzionali hanno dato ragione soprattutto ai governatori: 501 decisioni a favore di questi ultimi contro le 475 che hanno bocciato le leggi regionali.
In testa alla classifica delle Regioni più litigiose c’è la Toscana, che ha impugnato le norme nazionali 82 volte, ottenendo ragione in 64 casi. Subito dopo la provincia di Trento, che ha promosso 63 ricorsi, che hanno portato a 33 decisioni favorevoli, e l’Emilia Romagna, con 47 impugnazioni e 77 sentenze di illegittimità (a un ricorso spesso possono corrispondere più sentenze), il numero più alto in assoluto.
La Regione più bersagliata dallo Stato, invece, è stata l’Abruzzo: molte sue leggi hanno offerto il destro alla presidenza del Consiglio per far partire 77 impugnazioni alla volta della Corte costituzionale e quest’ultima ha pronunciato 47 verdetti di illegittimità. Di contro, l’Abruzzo è stata, dopo il Molise, la Regione con il più basso tasso di litigiosità, avendo chiamato in causa le leggi di Roma solo dieci volte in oltre tredici anni. Secondo il Governo, le Regioni più virtuose sono state il Lazio e il Trentino-Alto Adige, le cui norme hanno costretto lo Stato a rivolgersi alla Consulta solo, rispettivamente, 24 e 5 volte.
Il sole 24 Ore – 27 aprile 2015