I presidenti degli Ordini provinciali dei medici italiani hanno approvato ieri a Torino il testo definitivo del nuovo codice deontologico. A dire sì sono stati 87 presidenti su 99, dieci non lo hanno approvato e due si sono astenuti. L’unico elemento su cui è stata raggiunta la completa unanimità è stato il sì alla lotta all’abusivismo.
Il professionista è tenuto, infatti, a denunciare (obbligo etico) se viene a conoscenza di situazioni di abusivismo o di prestanome. I dieci Ordini che hanno votato contro hanno annunciato che si atterranno al vecchio codice. Il nuovo codice sarà presentato a Roma il prossimo 23 maggio.
N uove regole di comportamento per i medici? Sembra proprio di sì. I presidenti degli Ordini hanno elaborato il nuovo codice deontologico. Quanto nuovi e quanti importanti gli emendamenti rispetto a prima? Vediamo. Si riafferma con forza che «le competenze diagnostico-terapeutiche sono del medico, esclusive e non derogabili» (ineccepibile anche se infermieri dedicati, preparati e colti sono i nostri migliori alleati per far bene e non sbagliare; ma su questo non c’è neanche una riga).
C’è preoccupazione per la tecnologia: «il medico, facendo uso dei sistemi telematici, non può sostituire la visita medica, che si sostanzia con una relazione diretta con il paziente, con una relazione esclusivamente virtuale». Non è molto chiaro cosa vogliono dire se non il timore che le nuove tecnologie mettano a rischio il rapporto fra medico e ammalato. Al contrario, scienza e tecnologia stanno cambiando (in meglio) le nostre capacità di diagnosticare e curare le malattie a vantaggio degli ammalati; abbiamo l’obbligo morale di conoscere e trarre il massimo vantaggio da tutto quello che c’è, tecnologia dell’informazione e genetica per esempio, che da qui a qualche anno cambierà radicalmente la medicina. Questo non è in contrasto col visitare l’ammalato e un bravo medico sa bene di cosa avvalersi e quando senza bisogno del codice deontologico. Che invece sarebbe prezioso per essere più gentili con gli ammalati, saperci scusare se li facciamo aspettare, ascoltarli di più, sforzarci di essere chiari quando gli parliamo; pochi di noi per esempio sanno resistere alla tentazione di parlare male dei colleghi di fronte agli ammalati.
È vero che nel nuovo codice deontologico (art. 20 emendato) un richiamo che va in questa direzione c’è ed è giustissimo; forse, visto che si cambiava su questo punto, si poteva essere più espliciti.
Fra le novità una nota (sacrosanta) sul problema del conflitto d’interessi; che è molto di più che cedere, nel prescrivere, alle lusinghe di chi vende farmaci. Nel dire a un ammalato «per questo intervento c’è da aspettare tre mesi ma si può fare settimana prossima se lei paga, nello stesso ospedale e con lo stesso chirurgo» si crea un conflitto di interessi formidabile. Stando al nuovo codice deontologico (art. 69) da domani non dovrebbe succedere più. Sarebbe bellissimo; ma gli Ordini sapranno farlo rispettare quell’articolo? (Quello di prima era molto simile ma erano ben pochi a rispettarlo).
Secondo il nuovo codice non si parlerà più di eutanasia ma di morte; il medico non dovrà accelerare la morte nemmeno se il malato lo chiede (ci sarebbe molto da discutere ma almeno si comincia a fare un po’ di chiarezza). Sulle dichiarazioni «anticipate di trattamento», cioè se uno dice o scrive che non vuole essere rianimato, il testo è confuso e contraddittorio anche perché non ci sono norme di legge di riferimento.
E ancora, c’era chi voleva che gli ammalati non si chiamassero più «pazienti» ma «persone assistite». Poi hanno fatto marcia indietro ma non del tutto. Così saranno «pazienti» i malati, e «persone assistite» quelli che stanno bene o che fanno esami. Peccato che molti che sembrano star bene sono malati e molti di quelli che pensano di essere malati non hanno niente. Un bel pasticcio. Chiamiamoli malati gli ammalati, così quando guariscono non saranno né pazienti né persone assistite ma saranno anche loro come tutti gli altri.
Che dire insomma del nuovo codice deontologico? Non è molto diverso da quello di prima e le modifiche di questi giorni non mi pare abbiano contribuito a migliorarlo. Sarà forse perché pretendere di trovare un accordo fra 99 presidenti è un po’ troppo, in fondo Ippocrate 2400 anni fa aveva preferito fare tutto da solo.
Il Corriere della Sera – 19 maggio 2014