La corsa ai ripari è faticosamente partita – sia sul fronte internazionale con la nuova sinergia a quattro “pro Planetary Health” avviata da Fondo per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), Organizzazione per la salute animale (Oie), Programma Onu per l’ambiente (Unep) e Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – sia a livello di singoli Stati. L’Italia ha segnato il cambio di passo trovando risorse nel Piano nazionale complementare (Pnc), dove con soldi propri finanzia azioni di sostegno al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr): alla «One Health» sono destinati 500 milioni destinati al programma «Salute, ambiente, biodiversità e clima». I tempi sono gli stessi del Pnrr, quindi strettissimi: da qui al 2026 accanto al Sistema di prevenzione ambiente (Snpa) che già esisteva con la rete delle Arpa e che fa capo all’Ispra va attuato un Sistema nazionale prevenzione salute dai rischi ambientali e climatici (Snps). Istituito ad apriIe, va ora riempito di contenuti. Si tratta di realizzare un’architettura integrata che tenga insieme mondi fino a oggi separati – ambiente e salute umana e animale, appunto – attivando anche nel Servizio sanitario nazionale, nelle Regioni con le loro Asl e dipartimenti di prevenzione, i nodi di una rete capillare. Fatta di infrastrutture, di tecnologie (va creata anche una piattaforma dati nazionale), di ricerca e in più di personale adeguato. I temi dei progetti? Dalla correlazione tra qualità dell’aria e salute all’abbattimento del rischio di inquinamento indoor, dal monitoraggio delle microplastiche ai contaminanti per i pesci che popolano il Mediterraneo. L’approccio è il più vasto che si possa immaginare proprio perché in un’ottica «One Health» tutti gli interventi, tra ambiente e salute, vanno tenuti insieme. Non mancano le critiche: «È un sistema che resta bicefalo – afferma il presidente della Società italiana di medicina ambientale (Sima), Alessandro Siani -. Così l’integrazione è difficile: ad esempio le Agenzie regionali per l’ambiente sono state private di figure esperte anche in sanità mentre le Asl non hanno tecnici competenti sull’ambiente. Si rischia di non parlare la stessa lingua. Inoltre servono strumenti per capire se le politiche e gli investimenti stiano andando nella direzione giusta così da poter intervenire se necessario. Insieme al Consorzio interuniversitario di informatica stiamo approntando un sistema di monitoraggio basato su algoritmi dell’Oms, quindi validati, implementato per la realtà italiana. Adottarlo consentirebbe check periodici ad esempio sugli effetti dell’inquinamento dell’aria, che secondo gli ultimi dati Ue nel 2020 ha prodotto 61 miliardi di costi sociali e sanitari e 606mila anni di vita persi in Italia».
Per ora, si legge nei report ufficiali, il cronoprogramma One Health che come per il Pnrr segue ritmi pressanti è stato rispettato: livello locale (Regioni, Asl e dipartimenti di prevenzione) e centrale (Iss e ministero della Salute) stanno lavorando così come è in piedi la collaborazione tra Snps (area salute) e Snpa (area ambiente). Ma il 2026 è sempre più vicino e la consapevolezza sulla One Health è ancora in gran parte da costruire.