La legge elettorale, il cosiddetto Porcellum, finisce domani davanti alla Corte costituzionale. Vi arriva su input della Cassazione, che ha ritenuto fondato il ricorso di alcuni cittadini secondo i quali diversi punti dell’attuale sistema di elezione del Parlamento limitano il diritto di voto.
I ricorrenti hanno puntato il dito sul premio di maggioranza, sul meccanismo delle liste bloccate e sul presunto limite posto ai poteri del capo dello Stato nella designazione del presidente del Consiglio. Le prime due questioni di costituzionalità del Porcellum hanno passato il vaglio della Suprema corte, dopo che i primi due gradi di giudizio le avevano ritenute infondate.
Ora, dunque, è il turno della Consulta, che ha iscritto la questione al primo punto dell’ordine del giorno dell’udienza pubblica di domani. La decisione dei giudici costituzionali cade in un momento in cui il problema della riforma elettorale, nonostante gli appelli del presidente della Repubblica Napolitano, si trascina da tempo in Parlamento, ostaggio delle profonde divergenze di vedute tra i partiti. La questione si intreccia poi con la riforma dell’assetto costituzionale, rispetto alla quale il Governo dovrebbe in settimana presentare un disegno di legge.
In attesa della decisione della Consulta si possono prefigurare diversi scenari. Tutto potrebbe rimanere così com’è se la Corte ritenesse inammissibili le questioni avanzate dalla Cassazione. Ipotesi che non esclude Augusto Barbera, professore di diritto costituzionale a Bologna: «Possono essere sollevati dubbi sulla stessa ammissibilità del quesito, tenuto conto che in realtà si tratta di un ricorso diretto e solo surrettiziamente incidentale, vale a dire che nell’ordinamento italiano si può investire la Corte solo nel corso di un giudizio, che nel caso di specie però non c’è stato».
Ma se la Consulta dovesse, invece, decidere per l’ammissibilità delle questioni (o anche di una sola), che strade si aprono? «La via è già stata tracciata dalla Corte quando dichiarò ammissibile il referendum Guzzetta e indicò nel premio di maggioranza senza una soglia un motivo di possibile incostituzionalità. A questo punto però si porrebbe un problema: o la Corte dichiara illegittima tutta la legge oppure cerca di intervenire in maniera chirurgica e introduce una soglia. Se, però, dovesse scegliere quest’ultima soluzione, vestirebbe impropriamente i panni del legislatore. Giunti a questo punto, l’ipotesi meno sconvolgente sarebbe che la Consulta dichiarasse incostituzionale l’intero meccanismo. E poiché ha più volte detto che non è tollerabile il vuoto in materia elettorale, alla Corte non resterebbe altra strada che far rivivere la Mattarella. È vero che la Consulta non ha accettato, quando si è tentata la via referendaria, la soluzione della reviviscenza, ma è diverso il caso in cui si intervenga con una sentenza di annullamento. Questo la Corte lo ha consentito sin dalla decisione 107 del 1974 relativa ai patti agrari. Escluderei, inoltre, che la Consulta possa demolire il premio di maggioranza senza far rivivere la Mattarella anche perché in quel caso avremmo il ritorno al sistema proporzionale puro e per di più a liste bloccate».
Ci sono, tuttavia, soluzioni con impatti meno pesanti. «La strada più facile è che – conclude Barbera – la Corte incameri il procedimento e prenda tempo, così da dare ulteriori opportunità al Parlamento per intervenire. Oppure che non usi la mannaia e si limiti a una sentenza-monito nei confronti delle Camere».
Il Sole 24 Ore – 2 dicembre 2013