La partita doppia di Matteo Renzi si svolge con il corpo elettorale, da un lato, e con la società politica, dall’altro. Ma è evidente che egli non può vincere la seconda se non riesce a imporsi nella prima. Di conseguenza, una chiara affermazione nel voto del 25 maggio è propedeutica a tutto. Altrimenti sarà impossibile sbrogliare la matassa che deriva dall’irrisolto rapporto del giovane premier con il mondo politico a lui preesistente e perciò poco amichevole nei suoi confronti, a dir poco.
Renzi non è fatto per mediare e ricamare tele complesse. Si sforza di farlo quando le circostanze glielo impongono (e quando Napolitano glielo suggerisce), ma la sua natura è un’altra. Soprattutto perché si rende conto che il terreno della mediazione è comunque scivoloso per lui in assenza di una forza elettorale e parlamentare di cui ancora non dispone. Sotto tale profilo, la confusione sulla riforma del Senato era ampiamente prevedibile.
Oggi nessuno, nemmeno Renzi, ha sufficiente potere per imporre ai senatori una soluzione coerente e definitiva. Lo stesso, fatidico “patto” con Berlusconi è assai fragile: un filo che non si spezza, come si è visto, ma non è abbastanza robusto per appendervi senz’altro la riforma. Per cui il rinvio al 10 giugno, dopo le europee, è la conferma dell’assunto iniziale: prima il voto, poi il resto. E quali accordi potranno sopravvivere a un eventuale tracollo di Forza Italia?
La riforma del Senato è connessa, in modo diretto o indiretto, alla legge elettorale, peraltro assai contestata. Ma tale legge – come è stato più volte rilevato – è fondata sul presupposto che il sistema si regga su due gambe: il Pd renziano e un centrodestra berlusconiano o post-berlusconiano abbastanza solido; con i Cinque Stelle in funzione di terzo incomodo, ma distanziati. Viceversa la realtà ha smentito lo schema. Con Berlusconi in caduta, i protagonisti della scena politico-elettorale sono Renzi e Grillo. Sono più che legittimi i dubbi che il cosiddetto “Italicum” possa restare integro nella versione originaria.
Quindi si torna al punto iniziale. Il voto del 25 maggio si presenta come cruciale. Soprattutto per i destini dell’Italia. Tutto dipende da quale distanza separerà il Pd di Renzi dal movimento di Grillo. Se guardiamo alla media dei sondaggi resi noti dai mass-media, vediamo che al momento tale distanza è considerevole: circa 9-8 punti percentuali. Questo permetterebbe al presidente del Consiglio di governare il suo partito e probabilmente anche la maggioranza. Ma è opportuno che Renzi non dorma sugli allori. Le campagne elettorali sono ricche di colpi di scena, specie quando dall’altra parte c’è un tipo come Grillo.
Renzi e il Pd hanno già incassato il “bonus” delle riforme promesse e non ancora realizzate, nel senso che gli istituti demoscopici hanno inglobato il giudizio favorevole della gente nella previsione elettorale. Ne deriva che di qui in avanti il problema del premier sarà di non perdere il momento magico, a dispetto degli attacchi concentrici che sta già subendo. Se ci riuscirà, avrà in mano una pistola carica per ottenere le riforme, magari minacciando le elezioni anticipate (e ci sono pochi dubbi che Renzi le desideri). Se invece Grillo riuscirà a ridurre la forbice che oggi lo separa dal Pd, sfruttando il serpeggiante malessere euroscettico, lo scenario diverrà imprevedibile.
Il Sole 24 Ore – 8 maggio 2014