IL PUNTO di Stefano Folli. Il rischio che la fiducia finisca al non-governo Il rischio che la fiducia sia data, più che al governo, al non-governo Procedure corrette ma il problema resta la credibilità politica, come nota il Quirinale Basta al governo la fiducia del Parlamento per andare avanti?
La risposta dovrebbe essere ovvia: sì, perché così prevedono le regole costituzionali. E dopo la sconfitta sul rendiconto generale dello Stato era indispensabile per il presidente del Consiglio correre in aula a verificare le condizioni della maggioranza.
Quindi Berlusconi agisce in modo formalmente corretto, anche nel momento in cui ripresenta il testo completo del rendiconto bocciato. Certo, esistono ragioni non banali di sensibilità politica che avrebbero dovuto suggerirgli di presentare le dimissioni a Napolitano subito dopo lo smacco.
Era quello che accadeva nella Prima Repubblica, ma da allora molta acqua è passata sotto i ponti. In ogni caso, come ha rilevato il costituzionalista Augusto Barbera, meglio avrebbe fatto il premier a salire le scale del Quirinale e a concordare con il capo dello Stato i passi da compiere, compreso il dibattito a Montecitorio. A questo punto stiamo per assistere alla Camera al più importante fra gli innumerevoli voti di fiducia chiesti a raffica dall’esecutivo in carica. Potrebbe essere l’ultimo, se il malessere della maggioranza si tramutasse in un atto di rivolta. E ci si può ribellare non solo votando a sfavore, scelta comunque difficile, ma anche assentandosi, cioè non partecipando. Detto questo, quante probabilità ci sono che Berlusconi cada domani con voto palese? Davvero poche, in pratica nessuna. Eppure pochi credono che la fiducia afferrata perla coda gli garantirà una navigazione tranquilla. Nessuno prevede che il voto darà vita, quasi per magra, al «rilancio» del governo, finalmente libero di essere efficiente e volto – come diceAlfano – a realizzare uno snello programma di fine legislatura. La realtà è molto diversa e non solo perché il presidente del Consiglio ha già fatto mille volte il discorso del «rilancio». Non solo perché egli parlerà davanti a un’aula vuota per metà, disertata da tutte le opposizioni. Scelta in sé discutibile, dal sapore molto «aventiniano», ma di forte impatto mediatico, in grado di trasmettere un’idea di desolazione e di «fine regno». Del resto, i veri problemi del presidente del Consiglio sono gli stessi che esistevano prima del passaggio parlamentare e continueranno a esistere dopo: la nomina al vertice della Banca d’Italia, il profilo del decreto sviluppo, l’impossibilità di opzioni concrete per aiutare la crescita. Sullo sfondo, il determinante rapporto con la Lega che si va indebolendo giorno dopo giorno. Dunque si torna alla domanda iniziale: basta la fiducia? Sul piano politico no, non basta, se il campo è occupato da una maggioranza sfiancata e inerte. Una maggioranza che da un lato dice sì al governo e dall’altro è virtualmente in crisi. Il rischio è che si entri in un terribile ping-pong: incidente parlamentare seguito da voto di fiducia, poi nuovo incidente e nuovo voto di fiducia. E così via per i prossimi mesi. Un corto circuito che il paese non merita. In fondo è questo che Napoli-tano ha voluto dire con la nota di ieri mat-tin a, in cui ha parlato di necessaria «credibilità» del governo. Non è una forzatura costituzionale, come qualcuno ha voluto credere, ma una realistica fotografia della situazione. Dalla quale non si conosce con certezza la via d’uscita. In altri termini, il pericolo è che domani sia data la fiducia non al governo, ma al non-governo. Per esorcizzare questa prospettiva Berlusconi dovrebbe fare un intervento imprevedibile. Annunciare novità anche sulla struttura del governo. Comunicare il nome del nuovo governatore di Bankitalia. Offrire garanzie che non esistono più problemi né con la Lega, né con Scajola e nemmeno con i Responsabili. Se non farà almeno un paio di queste cose, prepariamoci al prossimo incidente, alla prossima tappa di un declino inarrestabile.
Sole 24 Ore di giovedì 13 ottobre 2011