Gli allibratori non avrebbero scommesso un euro sull’approvazione, ieri in commissione Affari istituzionali, dei due progetti di legge che vorrebbero istituire altrettanti referendum sull’indipendenza e sull’autonomia speciale del Veneto. O almeno non gli allibratori che ben conoscono il consiglio regionale, le sue meline, le sue ineguagliabili capacità di insabbiamento.
E invece, complice il clamore suscitato dalla consultazione online di Plebiscito.eu, i consiglieri hanno dato prova ieri di encomiabile efficienza e nel giro di quattro ore sono arrivati al verdetto finale: approvato il progetto di legge 342 di Stefano Valdegamberi (Futuro Popolare) che mira a chiedere al popolo elettorese voglia o meno che il Veneto diventi «una Repubblica indipendente e sovrana» e approvato pure il pdl 392 di Costantino Toniolo e Carlo Alberto Tesserin (entrambi Ncd), che propone invece cinque quesiti sull’autonomia che vanno dal «vuoi che il Veneto si trattenga l’80% delle sue tasse?» al «vuoi che il Veneto diventi una Regione a Statuto speciale?». La parola, adesso, passa all’assemblea, che dovrà dare il via libera definitivo alla convocazione dei due referendum. L’obiettivo è approdare in aula prima delle elezioni Europee, all’inizio di maggio.
Tecnicamente l’approvazione dei due pdl è avvenuta «all’unanimità dei presenti» ma va precisato che tra 34 i presenti non c’era buona parte dell’opposizione (e, per la maggioranza, Forza Italia per il Veneto). Pd, Idv e Sinistra hanno infatti abbandonato la commissione prima del voto finale sul testo di Valdegamberi (avevano già votato contro l’articolato), per protesta contro un’operazione «illegittima, perché avvenuta in concomitanza con un consiglio regionale (era prevista una seduta straordinaria su Veneto Sviluppo, ndr.) – ha detto il vice presidente della commissione Piero Ruzzante – incostituzionale, come ci è già stato ripetuto dai giuristi, e non esente da rilievi penali per chi dovesse darvi corso. Ringraziamo comunque la maggioranza perché sta portando avanti un’iniziativa che porterà inesorabilmente alla caduta di Zaia ed allo scioglimento del consiglio». Va da sé che Ruzzante ce l’aveva con il referendum sull’indipendenza («Il Veneto non reggerebbe un giorno staccato dall’Italia, pensiamo solo alle pensioni o all’export delle nostre imprese») ma la mossa del Pd s’è rivelata un boomerang, visto che con un blitz la commissione ha votato subito dopo pure il referendum sull’autonomia, su cui i democrats erano invece disponibili al confronto (se non altro per non restare completamente ai margini di un dibattito che infiamma comunque una larga parte dei veneti). Non a caso il capogruppo Lucio Tiozzo si è premurato di correggere il tiro nel pomeriggio: «Il referendum sull’indipendenza è uno specchietto per le allodole. Bisogna puntare sull’autonomia differenziata, sull’inserimento in Costituzione dei costi standard e sull’accorpamento delle Regioni: il Veneto, assieme al Trentino e al Friuli possono costituire un’unica realtà». Tengono invece duro Pietrangelo Pettenò della Sinistra («Basta prendere in giro i veneti, anche il Veneto a statuto speciale è anacronistico») e Gennaro Marotta dell’Idv: «Noi puntiamo alla fusione col Trentino Alto Adige, qualunque altra ipotesi è destinata a finire male».
Su un punto, comunque, le forze di minoranza hanno ragione: chi paga? Secondo le stime del consiglio, un referendum costerebbe attorno ai 14 milioni di euro (ne costò 10 quello del 2002 sui buoni scuola), che potrebbero scendere a 4,7 se la consultazione fosse abbinata ad un’altra tornata elettorale. Gli articoli di entrambi i pdl sulla copertura finanziaria sono stati stralciati (laconico il commento in commissione dell’assessore al Bilancio Roberto Ciambetti: «In Finanziaria avete votato tanti emendamenti senza copertura…») ma è chiaro che questo aspetto andrà chiarito prima di arrivare in aula, mentre tra l’opposizione c’è già chi grida allo «spreco inaudito». Ovviamente soddisfatti i leghisti («Lasciamo che il popolo si esprima, dice il capogruppo Federico Caner; «Facciamo presto così potremmo avviare il confronto giuridico con Roma» postilla il governatore Luca Zaia), così come i promotori dei referendum. Valdegamberi: «In Veneto nulla sarà più come prima». Toniolo: «Replichiamo così alla spinta neo centralista della riforma del Titolo V». Tesserin: «E’ una risposta al malessere dei veneti stretti tra Regioni privilegiate, un disagio che purtroppo lascia indifferente Roma». E mentre le compagini venetiste si spaccano («Oggi è stata posata una pietra miliare», dice Luca Azzano Cantarutti di Veneti Indipendenti; «E’ solo l’espressione del rigor mortis della bestia sanguinante», sferza Gianluca Busato di Plebiscito.eu) la mente torna ai precedenti del 1992 e del 1998. La prima volta furono il socialista Umberto Carraro ed il democristiano Franco Cremonese a promuovere un referendum per l’autonomia del Veneto. La seconda il forzista Giancarlo Galan. In entrambi finì male. Gli aneliti venetisti furono seppelliti sotto la pietra tombale del dettato costituzionale: l’Italia è una, indivisibile. E schiava di Roma, come Iddio la creò. Anche se questo è Mameli.
Marco Bonet – Corriere del Veneto – 2 aprile 2014