Il “calabrone” vola ancora, ma ha perso quota sul finale del 2015. L’Istat ha certificato ieri, con la sua stima flash sul quarto trimestre dell’anno appena trascorso, che tra ottobre e dicembre l’incremento del Pil rispetto ai tre mesi precedenti è stato soltanto dello 0,1 per cento.
La velocità di uscita dal 2015, peraltro, è ancora abbastanza buona: la crescita nei dodici mesi terminanti a dicembre è stata infatti pari a +1 per cento. E per il nostro paese si tratta comunque del miglior dato tendenziale sullo sviluppo dalla metà del 2011. Certamente, però, la dinamica deludente dell’ultimo scorcio dell’anno determina un ridimensionamento della crescita media annua del Pil. A questo punto, la stima più probabile per l’intero 2015 si attesta a un +0,7%, calcolando l’aumento del Pil sui dati grezzi; se, invece, si tiene conto degli effetti di calendario, cioè si fa come se non ci fossero state quelle tre giornate lavorative in più rispetto al 2014, l’aumento di prodotto medio annuo è dello 0,6 per cento. Il governo, come si sa, nelle sue ultime stime ufficiali vedeva crescere il Pil 2015 a +0,9 per cento. Va detto, però, che il dato annuale “doc”, non dedotto da una stima a base trimestrale e valido per i confronti in sede europea, verrà presentato dall’Istituto di statistica solo il prossimo primo marzo. Da Bruxelles il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, ammette che avrebbe preferito qualche decimale in più ma sdrammatizza, valorizzando il fatto che «dopo tre anni di recessione profonda, la crescita è confermata e si rafforzerà nel 2016, l’indebitamento scende e il debito pubblico scende». Quanto alle nuove previsioni sull’anno,sostiene, i conti si faranno al momento di definire il nuovo Def. Intanto, cosa ha determinato la frenata? L’Istat spiega che quel +0,1% trimestrale è il risultato di una riduzione del valore aggiunto nel comparto industriale e di aumenti nell’agricoltura e nei servizi. L’aumento negli altri due comparti, tuttavia, non deve essere stato molto elevato, se si pensa che in Germania, nonostante la produzione industriale abbia subito nell’ultima parte dell’anno una battuta d’arresto più forte della nostra, la crescita è dello 0,3% nell’ultimo trimestre 2015. L’Istat sottolinea poi che nel quarto trimestre vi è stato un contributo negativo della domanda nazionale, al lordo delle scorte, più che compensato dall’apporto positivo della componente estera netta. In effetti, nonostante le nubi del rallentamento internazionale in arrivo, nel quarto trimestre 2015 l’export ha tenuto, come dimostrano gli ultimi dati sul commercio estero extra Ue, mentre è probabile che le scorte si siano ridotte, per via di un atteggiamento più cauto su produzione e investimenti da parte delle imprese. Il risultato è che siamo entrati nel 2016 con un aumento di prodotto acquisito più basso del previsto e pari a +0,2 per cento. Ma il vero problema economico, in questo momento, è l’aumento dell’incertezza globale, che ha determinato un rapido ridimensionamento delle aspettative positive sulla domanda. Se a ciò si aggiunge il brutto inizio d’anno del 2016 sui mercati finanziari, ce n’è quanto basta per spiegare il fatto che molti analisti stanno rivedendo verso il basso le loro previsioni di crescita per il 2016 . Per esempio, il Ref di Milano sottolinea il fatto che l’instabilità finanziaria complessiva frena molto la ripresa. «Conta anche il fatto – si afferma nell’ultimo rapporto – che il consolidamento delle aspettative di bassa inflazione comporta un livello dei tassi d’interesse reali più elevato di quello che si prospettava un anno fa, quando la Bce annunciò l’avvio del Qe» Non solo. «Allo stesso modo, attese di stagnazione dei salari, possono ridimensionare l’effetto della riduzione dei tassi d’interesse sui prestiti alle famiglie e sulle loro scelte d’investimento, con riflessi negativi sul mercato delle case». Anche per questi motivi, connessi al rischio-deflazione, l’attuale previsione del centro studi milanese per il 2016 è per un incremento del Pil all’1 per cento. « È un’economia che riemerge molto timidamente dalla peggiore recessione della storia repubblicana, ma che è ancora ben lontana dal fare il salto in avanti necessario per voltare pagina» conclude Andrea Goldstein, managing director di Nomisma.
Rossella Bocciarelli – Il Sole 24 Ore – 13 febbraio 2016