Il governo preme. E vuole che l’accelerazione d’autunno arrivi proprio sulla riforma del lavoro, sulle regole per i licenziamenti e il superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che li regola per le aziende più grandi. Un segnale rivolto alla politica di casa nostra e soprattutto a Bruxelles, come esempio di riforma fatta e non solo annunciata, come carta da giocare per ottenere qualche margine di flessibilità sugli obiettivi di bilancio. Quella che inizia oggi può essere la settimana decisiva ma tutto si giocherà sui dettagli. Al momento nel Jobs act , il disegno di legge delega arrivato nella commissione Lavoro del Senato, sull’articolo 18 e sullo Statuto dei lavoratori non c’è neanche una riga.
Certo, la legge delega ha la funzione di cornice, un elenco dei principi che saranno poi dettagliati in un secondo momento con i decreti delegati. Ma senza nemmeno un appiglio sulla materia poi non sarebbe possibile procedere.
Per questo il governo e il relatore, il presidente della commissione ed ex ministro Maurizio Sacconi (Ncd), dovrebbero presentare un emendamento che introduca nel testo la questione. Probabilmente si userà una formula sfumata, il testo parlerà solo di riforma dello Statuto dei lavoratori da adottare con un testo unico ispirato dal diritto comunitario. Ma la modifica dovrebbe finire qui, senza entrare nel merito della questione. Una sorta di cavallo di Troia per aprire la strada alle tappe successive, con l’obiettivo finale che resta fermo: in caso di vittoria in una causa per licenziamento, sostituire il reintegro con un indennizzo che cresce a seconda dell’anzianità aziendale. Un gioco sotterraneo, ma neanche troppo.
Ieri ha parlato Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera, dove il Jobs act arriverà dopo il via libera di Palazzo Madama, e nome importante di quella sinistra pd contraria ad un intervento del genere: «L’articolo 18 — ha detto Damiano, intervistato dal Mattino — è stato innovato due anni fa all’epoca del governo Monti. Perché cambiarlo ancora? Rischiamo di acuire le tensioni sociali». Parole alle quali ha risposto lo stesso Sacconi: «Damiano sconfessa Renzi. Di riforma complessiva dello Statuto dei lavoratori ha parlato lo stesso premier e segretario del Pd. Ed è paradossale che a non volerla siano taluni esponenti dello stesso partito». Un tentativo di spaccare quello che, al di là delle larghe intese, sta pur sempre nell’altra metà del vecchio arco parlamentare. Ma anche l’emersione di quella partita sotterranea, che si giocherà sul filo delle parole e anche delle ambiguità.
È il caso di un altro passaggio della legge delega, un altro principio che solo in un secondo momento sarà tradotto in un provvedimento concreto e dettagliato: le famose «tutele crescenti». In questa formula rientrerebbe sia l’ipotesi che, in caso di licenziamento, ci sia un indennizzo crescente con l’anzianità, e quindi il superamento di fatto dell’articolo 18. Sia l’ipotesi che il licenziamento sia consentito solo nei primi tre anni, salvo poi applicare le regole attuali per il resto della vita lavorativa. Due visioni diverse, la prima sostenuta da chi vuole «cancellare» l’articolo 18, la seconda da chi lo difende. Che però troverebbero entrambe una giustificazione in quella formula usata nelle delega.
Il Jobs act è nel calendario della commissione Lavoro del Senato per martedì. Ma è probabile che le votazioni entrino nel vivo il giorno successivo. Sempre mercoledì riparte al Senato, in commissione Affari costituzionali, la discussione sul disegno di legge delega per la pubblica amministrazione, la seconda puntata della riforma partita prima dell’estate con il decreto legge che ha tagliato i distacchi sindacali e rafforzato la mobilità obbligatoria dei dipendenti. Qui, però, i ritmi saranno meno serrati: si riprende con un’indagine conoscitiva. La conferma che i segnali da mandare a Bruxelles si cercheranno su altre materie. (Lorenzo Salvia – Corriere della Sera )
Codice semplificato, contratto a protezioni crescenti e articolo 18, partiti ancora divisi. Martedì riprende il confronto al senato
Stesura di un codice semplificato del lavoro, che riscriva anche lo Statuto dei lavoratori (si sta discutendo se tutti e 41 gli articoli, o solo quelli più obsoleti – la legge 300 è datata 1970). Il contratto a protezioni crescenti potrebbe essere il nuovo contratto a tempo indeterminato per tutti i neo-assunti (anche qui resta però da capire se la tutela reale dell’articolo 18 possa venir limitata fino a un certo periodo di tempo o sparire del tutto per essere sostituita da un mix di indennizzo economico e trattamento complementare di disoccupazione, attraverso il contratto di ricollocazione).
Martedì riprende il confronto in commissione Lavoro del Senato sull’ultimo articolo, il 4 – sul riordino dei contratti – del ddl delega sul «Jobs act»: in mattinata, prima dell’inizio della sede referente, è previsto un incontro tra il governo e i parlamentari del Pd di Senato e Camera per trovare una posizione unitaria. Che dovrà poi essere discussa, e condivisa, con l’ala centrista della maggioranza (Ncd, Sc, Ppi, Svp). Anche ieri si sono succeduti contatti telefonici. Le posizioni restano ancora distanti. Ma il lavoro è un’emergenza e, dopo Fiom e Cgil, anche il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, ha annunciato di essere pronto a far scendere il proprio sindacato in piazza.
Per il presidente della commissione Lavoro di palazzo Madama, e relatore, Maurizio Sacconi «è necessario cambiare verso. Serve la generale riscrittura dello Statuto dei lavoratori, dopo che nei giorni scorsi sono stati definiti con largo consenso parlamentare i modi con cui rafforzare la protezione di tutti coloro che non hanno un lavoro e lo cercano». Del resto, il pressing di tutte le principali istituzioni sovranazionali (Bce, commissione Europea, Ocse) è molto forte, ha aggiunto Sacconi, nel chiedere all’Italia «di segnare la fuoriuscita da quei pregiudizi ideologici contro l’impresa che hanno penalizzato nei fatti l’occupazione, i salari e la produttività». Il Pd è diviso al proprio interno, con una minoranza, guidata dal presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, che preme per una delega limitata solo ad alcune specifiche modifiche allo Statuto dei lavoratori, e sull’articolo 18 insiste per una sua sterilizzazione solo per un massimo di tre anni (una sorta di periodo di prova allungato nella fase di inserimento). «Stiamo approfondendo le questioni, anche ragionando su idee nuove, lavoriamo per individuare soluzioni che tengano conto pure del loro reale impatto pratico su lavoratori e imprese», ha detto la capogruppo Pd in commissione Lavoro del Senato, Annamaria Parente.
A incalzare per un codice semplificato del lavoro che metta ordine a tutta la normativa di fonte nazionale (compreso quindi lo Statuto) è il giuslavorista, senatore di Sc, Pietro Ichino, che sul contratto a protezione crescente spiega: «Dovrebbe prevedere un costo di separazione per il licenziamento sotto forma di indennizzo che aumenta con l’anzianità di servizio, a cui affiancare, dal quarto anno, un trattamento complementare di disoccupazione per irrobustire la tutela reddituale del lavoratore licenziato, in cambio dell’esenzione dal controllo giudiziale sul motivo del recesso». Il governo è impegnato a trovare una soluzione: «Puntiamo a chiudere in sede referente entro la prossima settimana», ha sottolineato il sottosegretario, Teresa Bellanova. Il ddl dovrà poi essere licenziato da palazzo Madama, passare alla Camera e probabilmente tornare, in seconda lettura, ma blindato, al Senato per l’ok finale. Dopo di che la partita si sposterà sui decreti delegati che dovranno tradurre in norme le materie delegate.
In vista invece della legge di stabilità il governo starebbe studiando la possibilità di estendere il bonus degli 80 euro anche «alle famiglie con più figli» e agli incapienti. Lo ha reso noto ieri il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, evidenziando però come ci sia un nodo risorse. Le altre due ipotesi di riduzione fiscale allo studio sono: un ulteriore intervento sull’Irap o sui contributi sociali. Anche qui «si tratta di idee – ha ripetuto Taddei -. E servono risorse». (Il Sole 24 Ore)
15 settembre 2014