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Jobs act, nel negoziato un primo spiraglio: “Tratto solo sui licenziamenti disciplinari”. Renzi pronto a discutere. E poi voto di fiducia

Francesco Bei. Scava un tunnel Lorenzo Guerini, vicesegretario Pd. Scava dall’altra parte, «come l’abate Faria», il presidente della commissione lavoro, ala Cgil, Cesare Damiano. Scavano entrambi una galleria per provare a incontrarsi sotto la grande muraglia dell’articolo 18. Un tunnel di comunicazione per arrivare a portare a casa la legge delega senza far saltare il governo. E possibilmente senza spaccare il Pd.

Il lavorio sotterraneo delle due “talpe” non è mai stato interrotto da quando, a fine settembre, la direzione dem votò a stragrande maggioranza un documento di compromesso in cui si sanciva la fine dell’articolo 18, salvo per due casi: «Il diritto al reintegro viene mantenuto per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare, previa qualificazione specifica della fattispecie». Questa la formula, concordata tra la minoranza dialogante e i renziani. E questo, nonostante l’apparente chiusura fatta ieri dal premier («la delega non cambia»), è lo schema di gioco ancora intatto. «Per noi il punto di riferimento resta il testo approvato in direzione», ha rassicurato ieri Guerini nei suoi contatti con le altre anime del partito.

Dunque le parole del capo del governo a Bruno Vespa, spiega una fonte vicina alla trattativa — a cui partecipano anche Maria Elena Boschi e il ministro Giuliano Poletti — più che prese alla lettera andrebbero in questo caso «interpretate». Come una posizione negoziale dura per arrivare a un successivo ammorbidimento, esattamente come accaduto con la riforma del Senato. Insomma, se Renzi fa la parte del poliziotto cattivo, a Guerini e Poletti tocca quella dei buoni che mediano. Ma la strada è tracciata. «Limitarsi a una dichiarazione di principio, come ha fatto Poletti al Senato, o ipotizzare qualcosa simile a un ordine del giorno — osserva Damiano — non basta. La legge delega va corretta e anche la legge di Stabilità». In fondo anche nel governo ammettono che «non si può pretendere che un ramo del Parlamento timbri una legge come un pacco chiuso, senza cambiare una virgola». Tanto più che l’accordo, in cambio della disponibilità di Renzi a inserire direttamente nel Jobs Act la modifica sull’articolo 18, prevede che la minoranza accetti di votare tutto con la fiducia. Ci sarà dunque un emendamento e la fiducia sarà messa sul testo che uscirà dalla commissione. In tempi molto brevi. Boschi punta a portare in aula il testo lunedì 17 novembre, in modo da votare la fiducia prima della fine della settimana.

La celerità non è una fissazione legata a chissà quali scadenze, tanto più che si tratta di una legge che ha bisogno dei decreti attuativi per essere operativa. Il fatto è che la materia è talmente incandescente che il governo vuole tenerla sulla graticola il meno possibile, per evitare incursioni dei grillini o della frangia «irriducibile» — tale viene considerata ormai da Renzi — composta dal trio Civati D’Attorre- Fassina. «Qualsiasi cosa proponessimo — riflette un renziano del cerchio stretto — loro non la voterebbero, ormai fanno opposizione a prescindere ». Oltretutto al governo sanno bene che la delega dovrà inevitabilmente tornare al Senato per l’approvazione definitiva. E una concessione di troppo fatta alla sinistra a Montecitorio riaprirebbe il mercanteggiamento con Sacconi e l’Ncd a palazzo Madama. La coperta insomma è corta e i numeri al Senato impongono che l’intesa vada trovata anche con Alfano. Il ministro dell’Interno ha fatto sapere al premier che, se le modifiche resteranno limitate ai licenziamenti disciplinari, con una circoscritta specificazione delle fattispecie in cui il giudice può ancora ordinare il reintegro, il suo partito non si opporrà. «L’accordo va trovato all’interno della maggioranza e dovrà tenere insieme la sinistra del Pd e l’Ncd», chiarisce in queste ore Guerini.

Se sui contenuti un compromesso a questo punto sembra possibile, dove invece scoppierà uno scontro sarà sui tempi di approvazione del Jobs Act. Damiano e gli altri infatti pretendono che prima sia discussa la legge di Stabilità per vedere se effettivamente saranno accolte le loro richieste di aumento della dotazione per i nuovi ammortizzatori sociali (la richiesta è anche quella di rivedere il taglio dei patronati). «Un minuto dopo la legge di Stabilità promettiamo l’approvazione del Jobs Act», assicura Damiano. Un minuto dopo.

Repubblica – 3 ottobre 2014 

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