di Luigi Grassia. Le famiglie italiane sono senza soldi, i consumi precipitano e la crisi si attorciglia su se stessa. Dice l’Istat che a marzo le vendite al dettaglio sono diminuite del 3,5% rispetto allo stesso mese di un anno prima, e quelle degli alimentari sono addirittura crollate del 6,8%. Questo sul fronte delle spese.
Dal lato delle entrate, ancora l’Istat comunica che in aprile le retribuzioni contrattuali orarie sono rimaste ferme rispetto a marzo, mentre sono salite appena dell’1,2% su base annua; e questa è la crescita più bassa da quando esistono le serie storiche, cioè dal 1982, ben 32 anni fa. Va peraltro rilevato che la fiacca crescita degli stipendi è comunque doppia rispetto al tasso d’inflazione.
Un’avvertenza: l’Istat segnala che i numeri delle vendite si basano su un confronto un po’ viziato: quest’anno la Pasqua è caduta in aprile, mentre nel 2013 era stata in marzo. Perciò era inevitabile che il marzo 2014 fosse meno ricco nelle vendite, specialmente di roba da mangiare. Ma questo non può spiegare tutto: la caduta delle vendite risulta la più forte dal 1995, eppure in questa ventina d’anni era già successo tante volte che i mesi con e senza Pasqua si confrontassero statisticamente senza creare cadute da record. Evidentemente la crisi economica di fondo ci mette parecchio di suo, al di là delle variazioni di calendario. Ne è una riprova il confronto congiunturale (cioè mensile) con l’Istat che registra un ribasso dello 0,2%, risultato complessivo di un -0,4% per il comparto alimentare (-0,4%) e di uno stallo per il resto dei settori.
Tornando ai dati anno su anno, tra i diversi capitoli di spesa l’Istituto di statistica rileva ribassi in quasi tutti i gruppi di prodotti, con l’eccezione di «calzature, articoli in cuoio e da viaggi» (+2,6%) e «utensileria per la casa e ferramenta» (+1,1%). Le flessioni più forti, invece, toccano i comparti «cartoleria, libri, giornali e riviste» (-5,4%) e «dotazioni per l’informatica, telecomunicazioni, telefonia» (-4,8%). Non si salvano le vendite di prodotti farmaceutici (-0,8%):?la crisi costringe gli italiani a curarsi di meno.
Analizzando i canali di vendita, i piccoli negozi arretrano del 2,3% in termini tendenziali (cioè annuali), mentre la grande distribuzione registra una caduta ancora maggiore (-5,1%) e questa è una grande sorpresa perché il trend storico di regola avvantaggia i supermercati e ipermercati sui negozietti. Perfino i discount alimentari che segnano un calo (-1,5%).
Quanto alle retribuzioni contrattuali orarie mostravano una crescita anemica da diverso tempo. L’aumento dei primi quattro mesi dell’anno rileva infatti una media bassa, pari all’1,4%. È così bastato l’ennesimo passo indietro, una frenata di due decimi di punto (dall’1,4% di marzo) per cadere nel risultato peggiore dal 1982, come detto sopra.
Guardando ai diversi macrosettori, emerge un divario netto fra quello privato, dove le retribuzioni contrattuali orarie registrano un +1,6%, e pubblico, che segna una crescita zero, perché da anni vi pesa il blocco della contrattazione (l’ultimo rinnovo risale al biennio 2009-2010). Ad aprile, quindi, gli stipendi sono rimasti fermi rispetto a un anno prima in tutti i comparti della pubblica amministrazione; per conto suo anche il settore alimentari, bevande e tabacco ha registrato una variazione tendenziale nulla. È andata invece meglio ai lavoratori della gomma (+3,5%), dell’agricoltura e delle telecomunicazioni (entrambi +3,1%).
Ansa – 24 maggio 2014