Erano duecentottantadue e resteranno duecentottantadue. Valevano 161,1 miliardi e continueranno a valere più o meno la stessa cifra (salvo aumenti per inerzia). La lista delle deduzioni e detrazioni fiscali d’Italia, da quelle sulle «concessioni governative» ai partiti fino alle agevolazioni alla pesca d’altura, compongono una matassa cresciuta nei decenni fino a raggiungere una taglia abnorme: più un terzo di tutte le entrate tributarie.
La revisione della spesa nella Legge di stabilità avrebbe dovuto iniziare a rendere più logico e a ridurre di appena l’uno per cento (o anche meno) quel cumulo di misure ad hoc. Tuttavia, a quanto pare, non sarà così: tutto dovrebbe restare più o meno come prima. Nessuna delle agevolazioni speciali a categorie produttive o a cittadini, più o meno utili o giustificabili, verrà toccata. Dopo mesi di lavoro, la spending review è vicina a perdere un capitolo che avrebbe dovuto portare un riequilibrio di bilancio fra i 900 e i 1.500 milioni di euro.
Naturalmente niente è deciso finché tutto non sarà deciso. La bozza della Legge di stabilità che il governo presenterà al parlamento può cambiare fino all’ultima notte prima del Consiglio dei ministri di metà ottobre. Ma la marcia di avvicinamento a quella scadenza non va nella direzione che era stata indicata dal governo fino a pochi mesi fa. Non ci dovrebbero essere ritocchi neanche a una delle voci più indiziate, lo sgravio da 1,14 miliardi di euro sulle accise al carburante per l’autotrasporto. Quelle esenzioni furono introdotte come compensazione quando il petrolio sembrava in ascesa inarrestabile verso quota 200 dollari al barile, ieri sera invece il Brent era a 45 dollari. Ma gli sgravi all’autotrasporto dovrebbero restare. Lo stesso vale per i 2,3 miliardi cumulati con tredici diversi tipi di agevolazioni all’agricoltura. Si dovrebbero salvare anche i 180 milioni concessi anni fa agli armatori per permettere loro di competere con i loro concorrenti greci, che lavorano esentasse (benché ancora per poco). Il trasporto marittimo manterrà esenzioni da 600 milioni. E non dovrebbero essere toccate neanche le deduzioni da 133 milioni di euro alle famiglie, anche quelle ad alto reddito, per i contributi versati su tate o badanti.
C’è un motivo che spiega perché questo comparto della spending review rischi di finire nel congelatore: è difficile scegliere. Le categorie colpite potrebbero ribellarsi all’idea di dover pagare, mentre centinaia di altre detrazioni vengono salvate. Coinvolgere tutti o molti, d’altra parte, rischia di rivelarsi politicamente troppo costoso. Di qui la tentazione di non fare niente. La spending review manterrà però i capitoli sul blocco dei costi della sanità, sulla razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi da parte dello Stato e sul bilancio delle forze di polizia: almeno 5 miliardi in tutto dei 10 di tagli annunciati. Del resto la revisione della spesa non è vista da Palazzo Chigi come un obiettivo in sé, ma come il mezzo per centrare un certo obiettivo di deficit a fronte dei tagli alle tasse. E l’obiettivo di deficit per il 2016 potrebbe salire ancora: forse al 2,4% del reddito nazionale.
Il Corriere della Sera – 23 settembre 2015