Sono arrabbiati i camici bianchi e non mollano di un millimetro la posizione. “Se tra il 2021 e l’inizio del 2022 il numero dei medici dipendenti del Servizio sanitario regionale è stato incrementato di 85 unità, corre l’obbligo di ricordare la carenza di 1.295 specialisti segnalata nel dicembre 2018 dall’allora direttore generale della Sanità veneta, Domenico Mantoan – dice Giovanni Leoni, segretario regionale della Cimo -. Stiamo ancora aspettando l’aggiornamento di quei dati, ma nel frattempo la logica conclusione potrebbe essere che adesso mancano “solo” 1.210 colleghi dipendenti a tempo indeterminato. Quanto alla retribuzione media non è dato sapere se nel calcolo della Regione siano ricompresi i numerosi contratti libero-professionali, che hanno un costo decisamente superiore e quindi alzano molto la media. Restano comunque i dati ufficiali Agenas, secondo i quali la spesa complessiva per il personale sanitario nel Veneto è inferiore di 400 milioni di euro rispetto al costo affrontato dall’Emilia Romagna, che ha 500mila abitanti in meno affonda Leoni -. Non si tratta di qualche decina di euro. Resta infine il problema dei Pronto Soccorso, affidati quasi interamente a cooperative esterne, e preoccupa l’enorme sproporzione tra i nuovi contratti a tempo indeterminato e quelli libero-professionali”.
Sul piede di guerra pure i primari, rappresentati da Giampiero Avruscio, presidente Anpo Padova: “La retribuzione media calcolata dalla Regione non è corretta, un primario guadagna da 90mila a oltre 100mila euro lordi l’anno, ma un neo assunto arriva a 30mila. Non si possono fare i conti a spanne. E poi che i medici veneti riempiano gli ospedali esteri è un dato di fatto, così come scarseggiano i colleghi stranieri nei nostro ospedali, poco attrattivi. Resta inoltre la discriminazione dei camici bianchi in forza all’Azienda ospedaliera di Padova, che hanno gli stipendi più bassi del Veneto. E non di pochi euro, ma da 6 mila a 15 mila euro l’anno in meno, e da quasi 20 anni, a causa di un’errata distribuzione dei fondi regionali per lo stipendio accessorio relativo agli incarichi”. Per riequilibrare la situazione, che tocca l’intero personale dell’Azienda ospedaliera di Padova, la Regione ha deliberato un fondo a parte di 2,2 milioni di euro per il 2020 e altrettanti per il 2021 e il 2022. “Per gli 850 medici interessati si traduce in 1,6 milioni lordi, cioè 900mila euro netti, quindi l’aumento si riduce a 2,7 euro l’anno a testa – chiarisce Avruscio -. Assurdo per l’ospedale di riferimento regionale, che affronta i casi a più alta complessità”. Il 4 maggio i sindacati di categoria saranno ricevuti in Regione da Flor, dg della Sanità, proprio per parlare dell’incremento dei fondi contrattuali. Intanto sulla questione interviene anche il Pd, con il capogruppo Giacomo Possamai: “La spesa del personale rispetto alla popolazione residente è tra le più basse d’Italia, l’8% dei cittadini èsenza il medico di famiglia, mancano 1.500 camici bianchi e migliaia tra infermieri, tecnici eoperatori sociosanitari. Uno stato di emergenza diffuso”.
Dal canto loro i tecnici di Agenas precisano: “Se il Veneto ha speso meno per il personale sanitario è perché ha concluso meno assunzioni e ciò dipende da più cause. Prima del Covid molte Regioni, come Puglia, Calabria, Campania, Sicilia, Lazio ePiemonte, erano andate in piano di rientro e quindi avevano dovuto bloccare le assunzioni al punto di ritrovarsi all’inizio della pandemia in sottorganico. Visto che per fronteggiare l’emergenza il governo ha liberalizzato le assunzioni, soprattutto il Sud ne ha concluse moltissime, convincendo a tornare a casa una buona parte di medici e infermieri meridionali in servizio nel Veneto. Regione che vanta due Facoltà di Medicina, a Padova e Verona, fino al 2020 in grado di laureare in totale 400 camici bianchi e 800 infermieri all’anno, mentre l’Emilia Romagna può contare su quattro Atenei e quindi su numeri superiori. Tanti bandi sono andati deserti perché non si trovano specialisti nè infermieri”. Nei momenti più drammatici della pandemia le Usl hanno dovuto dirottare in corsia quelli in servizio nelle Rsa.
Il Corriere del Veneto