Treviso, quattro morti e otto feriti alla festa di paese di “Un boato, poi è arrivata la valanga”
Jenner Meletti. Mauro Breda li tira fuori dall’auto di sua papà, Gianni detto Giannino. È una Nissan rotta e piena di fango. Giannino era uscito dal tendone della festa per portare l’auto lontano dall’acqua e ha perso la vita. Guardi i due seggiolini e pensi — qui tutti pensano la stessa cosa — a cosa sarebbe successo se la bomba d’acqua fosse arrivata sabato prossimo, quando si aprirà la “Plurisecolare Festa d’estate al Molinetto della Croda” che andrà avanti per due settimane. Pomeriggio e sera, con “musica di Maria Grazia”, spiedo gigante e grigliata e decine e decine di bambini a correre sotto il tendone della Pro loco e nei prati. È un posto da favola, il Molinetto. C’è la cascata del torrente Lierza, c’è il mulino del ‘600, ci sono i vigneti con le rose davanti ai filari e i boschi con profumo di funghi. «Per fortuna — dice Enrico Casagrande, 48 anni — eravamo solo noi uomini. Ed io ero fra i giovani».
Una bomba d’acqua che scende dalla cascata e subito fa saltare nello spiazzo del mulino centinaia di tonnellate di sassi e di massi. «Festa dei omeni, la chiamiamo. Le donne hanno l’8 marzo, noi il 2 agosto. Una festa privata, come se ne fanno tante, qui sulle colline di Treviso». Maurizio Bernardi, 53 anni, è l’uomo che l’ha organizzata. «Abbiamo cominciato vent’anni fa, eravamo in sei. Qui al Molinetto eravamo novanta». Una festa alla “Amici miei”, con costate di sette etti, fagioli, pomodori, cetrioli e poi prosecco e marzemino e nessuna moglie che ti sgrida se bevi troppo. «Di solito facciamo la festa a casa di mio suocero, a Solighetto, sotto alcuni gazebo. Ma era prevista pioggia e allora abbiamo chiesto alla Pro loco di usare il tendone già montato per la festa d’estate». Non riesce quasi a parlare, Maurizio Bernardi. Quattro suoi amici (Luciano Stella, gommista di 50 anni; Giannino Breda, falegname di 67 anni, Maurizio Lot, operaio di 52 anni e Fabrizio Bortolin, impiegato di 47 anni) sono all’obitorio di Treviso. Altri otto sono ricoverati negli ospedali.
La casetta di legno della cucina adesso è spezzata nel torrente. Un piccolo Vajont, dicono tutti. «Stavo finendo la seconda grigliata — dice Maurizio Bernardi — quando poco dopo le 21 è arrivata una spanna d’acqua. Poi è saltata la luce, siamo rimasti al buio. Guardo fuori dalla casetta e ci sono un metro e mezzo d’acqua. Sento le urla. “Aiuto, chiamate i pompieri”. C’era un mio amico abbracciato a un guardrail, che perdeva sangue da una gamba, ferito da una lamiera. C’erano altri aggrappati agli alberi. Le automobili sembravano macchinette di plastica, portate via dalla corrente. Un incubo».
All’inizio nessuno aveva paura. Quando è arrivata la prima acqua, gli uomini sono saliti sulle panche gialle e si sono messi a cantare come in curva sud. «Alé, ohoo, alé, ohoo». Poi sono saliti in piedi sulle tavole. «Io però — dice Enrico Casagrande, 48 anni — avevo capito subito che le cose si mettevano male. Mi sono messo a gridare: spostate le macchine, la strada è allagata. E poi: fuori, fuori. Tanti erano saliti sul palco della musica, un po’ più alto. Erano circa le 21,30. Io ho tagliato il telo laterale del capannone, per cinquanta metri ho camminato controcorrente con l’acqua al petto. Ho trovato il terreno asciutto, sono salito verso una casa. Ho chiamato i pompieri, ho chiesto delle torce e delle corde e sono sceso giù. Io e altri abbiamo legato le corde ai filari delle viti, per salvare quelli che erano sul guardrail o sugli alberi. Non tutti ce l’hanno fatta. Quelli che sono rimasti sul tendone alla fine si sono aggrappati alle capriate che sostengono il tetto. Ma all’improvviso tutto il tendone si è accartocciato a fisarmonica».
Ha salvato delle vite, l’uomo che ha tagliato il tendone e ha portato le corde. Adesso guarda il torrente ancora giallo di fango, saluta mogli e figli che sono venuti a vedere dove sono morti i loro mariti o i loro papà. Con le gru i vigili del fuoco tirano fuori dal Lierza balle di fieno avvolte nella plastica, un carro agriorigine colo finito sotto un ponte, e poi una ventina di automobili. Già nella notte avevano finito il loro lavoro più triste: l’ultimo cadavere è stato trovato alle ore 3, a cinquecento metri dal Molinetto. «Ho sentito un botto su a monte — racconta Valter Lorenzon, vigile urbano a Refrontolo — poi l’onda è arrivata sotto il tendone. Ho pensato: è la fine. Sono stato salvato da un Angelo custode. È un mio amico, non faccio il suo nome. Lui conosce bene il Molinetto. Mi ha detto: bisogna salire in alto. Non si vedeva nulla, c’era un muro d’acqua di tre metri, bisognava solo correre, salire a monte. Ho seguito questo mio Angelo, mi sono salvato ». Valter Lorenzon è tornato subito dopo nel luogo del disastro, come vigile urbano, assieme al sindaco Loredana Collodel. Ha preso nota di chi era sopravvissuto e di chi era disperso, e anche i nomi dei feriti portati via dalle ambulanze.
«Io non so ancora — racconta Ugo Nardi, 49 anni — come e perché mi sono salvato. Mi sono trovato incastrato fra un palo del tendone e una tavola, non riuscivo a muovermi e l’acqua mi arrivava alla gola. Poi qualcuno mi ha tirato su, un Qualcuno là in alto. Sono arrivato a un albero, l’ho abbracciato. C’erano altri attorno a me. Quando l’ondata è passata, ho capito che non era la mia ora. Per fortuna la luce elettrica è saltata subito. Al buio avevamo paura, però con la corrente attaccata avremmo rischiato di morire fulminati. Ci vado da qualche anno, alla festa dei omeni. Si sta davvero in allegria. Avevamo cominciato a parlare delle ferie, di cosa fai tu e cosa faccio io. Non c’è nessuna speculazione. L’organizzatore Maurizio Bernardi detto Micio compra carne, verdure e vino e fa la grigliata. E alla fine ci dice quanto ha speso, meno di venti euro a testa».
Sole al mattino della domenica, al pomeriggio ancora temporali carichi di pioggia e di fulmini. Arrivano naturalmente i turisti del macabro, chi a piedi con il cane al guinzaglio, chi in bicicletta da corsa. «Vergogna», grida loro il governatore del Veneto Luca Zaia. «Curiosi, andatevene. Qui ci sono dei morti e state intralciando il lavoro di chi sta mettendo in sicurezza il territorio». «Mi dicono — racconta Luca Zaia — che nel 1963 e anche ottanta anni fa questo torrente è andato in piena ed ha fatto danni. Certo, dove c’è la cascata c’è un imbuto che raccoglie l’acqua di un’intera vallata. Non credo che a causare il disastro sia stato un “tappo” che si è formato proprio sopra la cascata. Comunque non è stato la causa principale. Vede, sono le 2 del pomeriggio, dalla tragedia sono passate quattordici ore. La cascata è ancora possente, il torrente è ancora in piena. Vuol dire che là sopra è caduta una quantità d’acqua impressionante. È come se il lago di Garda si fosse scaricato tutto nel Po. Questa è stata la tempesta perfetta». Almeno 80 millimetri in un’ora e mezzo, mentre nell’intero mese di luglio in media cadono 60-70 millimetri.
Ci sarà lutto in tutto il Veneto, il giorno dei funerali. «Voglio le bandiere a mezz’asta in tutta la Regione, me ne frego di quello che possono prescrivere i prefetti. La solidarietà e il rispetto contano tanto». Accanto al ponte di Costa del Val, cinquecento metri dal Molinetto, c’è una cravatta regimental, impigliata fra gli arbusti. Anche se non ci sono le donne, a una festa bisogna presentarsi eleganti. «E pensare — dice Maurizio Bernardi, l’organizzatore della festa che non ci sarà mai più — che volevamo solo divertirci. Stare assieme, mangiare, cantare. Si fa qualcosa di male, a cercare un po’ di allegria?».
Repubblica – 4 agosto 2014