di ILARIA CAPUA “Le accuse false e sorprendenti che mi sono state mosse dal settimanale l’Espresso danneggiano la mia immagine e reputazione. Sono certa che sarò scagionata. Il mio nome sarà comunque stato associato a questa incresciosa vicenda che merita un chiarimento da parte mia. La deformazione della realtà è talmente irreale che faccio fatica a capacitarmene.
Delle falsità riportate ve ne sono alcune che riguardano i fatti. Ad esempio si allude al fatto che l’epidemia di influenza aviaria che ha colpito l’Italia nel 1999-2000 fosse causata dall’illecita introduzione di un virus dall’Arabia Saudita. Se si fossero approfonditi i fatti prima di lanciare questa accusa, si sarebbe notato che i focolai di influenza aviaria in Arabia Saudita erano stati causati da un ceppo di sottotipo H9N2 e quelli italiani da un ceppo H7N1. È come confondere le mele con le patate. A questo proposito, sottolineo che con l’ausilio delle informazioni genetiche sui genomi dei virus è possibile tracciare l’origine delle epidemie e, quindi, eventuali atti deliberati di diffusione virale verrebbero immediatamente posti all’attenzione della comunità scientifica.
Qualche ulteriore precisazione per spiegare il contesto i mi sembra quindi doverosa. Tra il 1999 ed il 2004 il nord Italia è stato colpito da epidemie successive di influenza aviaria nel pollame (non causati da H5N1) che hanno avuto effetti devastanti sul patrimonio avicolo nazionale. L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie è il laboratorio di referenza nazionale per questa malattia e, per i suoi compiti istituzionali, si occupa della sua diagnosi. Per far fronte alle epidemie è stata sviluppata una strategia di vaccinazione autorizzata dal Ministero della Salute e dalla Commissione Europea. La strategia di vaccinazione ha portato all’eradicazione delle infezioni: l’alternativa alla vaccinazione sarebbe stata l’abbattimento di milioni di animali.
Mi si accusa di aver trafugato stipiti virali e di averli ceduti alle aziende farmaceutiche dietro compenso. Per chi non lo sapesse, le multinazionali agiscono secondo regolamentazioni molto rigide e con certificazioni dei loro prodotti a tutela della salute pubblica. Secondo voi, vaccini messi in commercio e distribuiti secondo canali ufficiali avrebbero potuto contenere semenze virali di provenienza ignota? Sarebbe come commercializzare farmaci nei quali non è riportato il principio attivo. Esistono canali ufficiali regolamentati per la fornitura di stipiti virali che sono stati sempre rispettati: tutta la documentazione è a disposizione presso l’Istituto.
Mi si accusa anche di aver operato per costituire un cartello di due aziende, Merial e Fort Dodge, per gestire la campagna di vaccinazione delle epidemie italiane. Se ci si fosse informati, sarebbe emerso che le aziende che hanno fornito vaccino nelle epidemie italiane 1999-2004 sono state Intervet, Merial e Fort Dodge, le uniche tre sul mercato, così come è avvenuto per la vaccinazione di emergenza del 2007. Si parla anche dell’affare «milionario» del brevetto DIVA. I proventi del brevetto ad oggi assommano a qualche centinaia di migliaia di euro. Sono stati incamerati dall’IZVs, licenziatario del brevetto. I tre inventori hanno infatti ceduto i diritti di sfruttamento dello stesso. Tradotto, gli inventori ad oggi non abbiamo percepito alcunché.
L’aspetto che mi lascia sbigottita è il «collage ad effetto» costruito abilmente a fini mediatici – ma senza rispecchiare la realtà – collegando vicende sconnesse temporalmente ed interpretando in modo errato termini tecnici. Si fa riferimento, nell’ultimo passaggio, a come fatti avvenuti nel 1999 nel pollame siano correlati alle scelte di farmaci antivirali per l’uomo per combattere il virus H5N1 del 2005. Le indicazioni su queste scelte arrivano da organismi internazionali e le decisioni vengono prese dai Ministeri della Salute dei singoli Stati. Posso solo ricordare che non ho mai partecipato ad alcun passaggio decisionale in questo ambito, occupandomi della salute animale e non di quella umana. Non solo per quanto ho fin qui esposto ma per molte altre falsità contenute nell’articolo, denuncerò l’Espresso per diffamazione. Non c’è verità in quanto scritto – forse per superficialità, noncuranza o per il tentativo di screditare una persona che ha dedicato la sua vita professionale con impegno, dedizione e serietà a combattere le epidemie e a far crescere un gruppo di ricercatori trasformandolo in un gruppo leader a livello mondiale. Mi domando da dove origini e a chi possa giovare tutto ciò. Nessun indennizzo potrà mai rimuovere le «ustioni» che mi sono state causate, ma questi sono problemi miei. Mi domando, e vi domando, quali possano essere le motivazioni che hanno spinto queste persone a divulgare informazioni false, ad informarmi a mezzo stampa di essere indagata su questi fatti e a voler screditare me e la mia famiglia di fronte al mio paese ed alla comunità internazionale”. (Corriere del Veneto)
«Io accusata di traffico di virus da chi confonde ceppi diversi»
Fino a pochi giorni fa era nota come la paladina della trasparenza nella ricerca scientifica sull’influenza aviaria. Oggi è accusata di traffico illegale di virus, associazione a delinquere e abuso d’ufficio. Ilaria Capua, affermata virologa e deputata di Scelta Civica, stenta ancora a credere alle indiscrezioni sull’indagine che sarebbe stata avviata dalla Procura di Roma. «Sono sbigottita, queste ipotesi si basano su errori grossolani che trasformano la realtà», dice al Corriere la scienziata. Il primo errore consiste nella confusione tra ceppi virali che emerge dal resoconto pubblicato dall’Espresso. «Si ipotizza che dei virus spediti illegalmente a terzi dall’Arabia Saudita abbiano acceso nel 1999 un focolaio di influenza aviaria nel Nord Italia. Ma si tratta di due virus che non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro. Quello saudita è del tipo H9N2, l’italiano è H7N1».
L’idea che sia stato un campione di virus importato in barba a tutte le norme di biosicurezza a far ammalare i nostri volatili non regge, dunque. Ma è vero che lei e i vertici del suo istituto (lo Zooprofilattico sperimentale delle Venezie) avete stretto accordi illeciti con l’azienda che ha prodotto il vaccino per il virus italiano? «E’ nostro dovere fornire i ceppi alle aziende farmaceutiche che ce li richiedono attraverso i canali ufficiali. L’istituto riceve un rimborso di poche migliaia di euro».
Ma gli stralci di intercettazioni pubblicati suggeriscono lauti guadagni per quanto riguarda il test che avete brevettato, è così? «No, il test Diva ha fruttato in tutto circa 200.000 euro che in gran parte spettano all’istituto. E’ un bene che un istituto pubblico brevetti per far rendere le attività di ricerca o no?». Da alcune delle frasi intercettate sembra che lei e il direttore sanitario Stefano Marangon vi stiate spartendo un bottino. «Sono state travisate. Parliamo della possibilità che l’istituto commercializzi il test in due mercati esteri e scherziamo sul fatto che l’ordinativo per i reagenti destinati al governo rumeno fosse clamorosamente sbagliato per eccesso».
Le indiscrezioni comunque lasciano intravedere un conflitto di interessi tra il suo lavoro di ricercatrice pubblica e quello di suo marito per una società veterinaria privata, la sua immagine ne esce ammaccata. «Sono amareggiata che qualcuno voglia colpire chi si distingue per meriti scientifici. Le carte dimostreranno che il conflitto di interessi non c’è».
Anna Meldolesi – Corriere della sera – 6 aprile 2014