Quella che in questi giorni sta interessando il Vicentino, e altre zone del Veneto, rischia di assumere sempre più i contorni di una classica emergenza all’italiana. Gli ingredienti ci sono tutti. Non ci sono norme né valori tabellari che fissino i limiti per i derivati della lavorazione del fluoro. Ma non è questo l’unico aspetto poco chiaro di una vicenda quasi surreale. C’è, tanto per cominciare,il classico balletto di competenze. Chi fa cosa e come? A chi tocca decidere, monitorare, agire, prendere provvedimenti? Medici, veterinari, Arpav, Ulss, Consorzi? E in base a quali parametri? Oggi la Regione si appella al Ministero per avere delucidazioni e sapere come muoversi. Ne riceve rassicurazioni, anche sul proprio operato. Il che fa sorgere una domanda: quali sono i modelli organizzativi a cui rapportarsi?
Quello del ministero della Salute, dove il riferimento tecnico è il capo dipartimento della sanità pubblica veterinaria e della sicurezza alimentare, o quello della Regione Veneto, dove il ruolo dell’Unità di progetto veterinaria, autorità competente in materia di sicurezza alimentare, non sembra essere riconosciuto? Tanto che da tempo è ”scaduta” e non è stata ancora riconfermata come modello di riferimento…
Acqua sospetta: rassicurante l’incontro di oggi a Roma sulla qualità delle acque nel vicentino e in altri comuni del Veneto
Nessun pericolo per la popolazione del vicentino che dovesse bere l’acqua potabile che ha presentato valori anomali di alcune sostanze. La questione della presenza di sostanze perfluoro-alchiliche nelle acque superficiali di alcuni Comuni del Vicentino e di altri comuni del Veneto è stato al centro di un incontro, tenutosi a Roma al Ministero dell’ambiente. All’incontro hanno partecipato i tecnici regionali della sanità, dell’ambiente, dell’Arpav, dei Ministeri dell’Ambiente e della Salute, dell’Istituto Superiore della Sanità e dell’Istituto che ha condotto la ricerca sulla questione.
I tecnici veneti hanno illustrato le azioni e i provvedimenti presi a livello regionale, che sono stati giudicati dagli organismi centrali “tempestivi e idonei”. Al tavolo di oggi è stato ribadito che non sussiste alcun pericolo per la popolazione.
Si è anche decisa la costituzione a breve di un gruppo di lavoro interdisciplinare che avrà il compito di approfondire la tematica e regolamentare i limiti delle sostanze in questione, che esistono a livello europeo, ma non a quello nazionale.
L’acqua sospetta nel Vicentino. In Italia non esistono limiti per tali elementi
Dopo il monitoraggio del Cnr e la segnalazione della Regione. L’Arpav conferma la presenza di sostanze industriali derivanti dalla lavorazione del fluoro. Ma in Italia non esistono limiti per tali elementi. La Procura di Vicenza ha aperto un fascicolo. Ma è difficile ipotizzare un reato se non c’è la norma. Eppure è quello che sta accadendo. I rubinetti del Vicentino sono interessati, con «concentrazioni variabili», dalla prese in considerazione dalla legge italiana, eppure, a sorpresa, le ha riscontrate il Cnr dopo un monitoraggio che è stato confermato da analisi a tappeto dell’Arpav che hanno mappato e quantificato la contaminazione.
I CONFINI. L’inquinamento interessa il Padovano e il Veronese oltre al Vicentino. Per quanto riguarda la città sarebbe solo uno il pozzo contaminato (ma subito isolato). Poi Montebello, Gambugliano, Zermeghedo. Interessati anche Sarego (pozzo chiuso) e Brendola. E giù fino ad Almisano, Lonigo, Da lì parte l’acqua che viene distribuita a Lonigo, Noventa, Sossano, Agugliaro, Alonte, Asigliano, Campiglia, una piccola parte di Orgiano e Pojana. Le concentrazioni vanno da zero fino ai 4 mila nanogrammi per litro riscontrati in un pozzo (anche questo già chiuso) di Almisano.
I DUBBI. Queste concentrazioni devono far paura? Stiamo bevendo acqua contaminata con conseguenze per la salute? Le norme italiane non lo dicono. Cioè queste sostanze derivate dal fluoro «non sono tabellate». Significa che per dichiarare l’acqua potabile (e nella verifica degli scarichi industriali) questi polimeri non vengo neppure ricercati. Non esistono quindi leggi che indichino dei limiti oltre i quali si possano riscontrare problemi alla salute. Sul tema però l’assessore regionale alla sanità, Luca Coletto, non appena informato dell’esito del monitoraggio (le concetrazioni rilevate arrivavano nei picci a mille nanogrammi per litro) ha richiesto un parere all’istituto superiore di Sanità sulle possibilità di rischio per la popolazione. «L’Iss ha rassicurato sull’assenza di un rischio immediato per la popolazione – dichiarava nei giorni scorsi -. A scopo cautelativo ha consigliato l’adozione di misure di trattamento delle acque potabili per l’abbattimento delle sostanze in questione e di prevenzione e controllo della filiera idrica delle acque destinate al consumo umano nei territori interessati».
Questo accadeva venerdì. Da allora I’Arpav, su indicazione dei gestori del ciclo idrico e dell’Ulss, ha analizzato centinaia di campioni per verificare concentrazioni e mapparerne la diffusione. Da notare che tali analisi non sono state così semplici.
I RlSCHl. Risultato? Le concentrazioni sono varie. Male azioni di prevenzione dei gestori dei ciclo idrico non si sono fatte attendere: i pozzi dove gli inquinanti sono più elevati sono stati isolati. Dove possibile poi è stato installato un sistema a carboni attivi per abbattere la presenza delle sostanze. Poiché non esistono in Italia valori certi dell’efficacia di questo metodo, sono scattati ulteriori monitoraggi. Da una prima rilevazione da parte di Acque Veronesi, responsabile dei pozzi di Almisano, i risultati sarebbero positivi: le concentrazioni sarebbero drasticamente calate dopo i filtri trattanti.
LE CONSEGUENZE Si è quindi in una fase di attesa da parte del Ministero dei limiti normativi che mancano. Nel frattempo si sta ricercando la fonte dell’inquinamento. La Procura ha aperto un fascicolo a seguito della segnalazione. Ma non si può parlare di reato legato all’inquinamento visto che non esistono leggi che siano state violate. L’indagine si preannuncia difficile e insolita, come del resto l’intero caso.
Il procuratore capo Antonino Cappelleri, tuttavia ha intenzione di procedere facendo riferimento ad un reato più generico, presunto avvelenamento colposo di acque, molto più impegnativo dal punto di vista probatorio.
Pozzi contaminati ma si può bere
Arrivano i dati dell’Ulss 5 a fare un po’di chiarezza sulla situazione delle acque contaminate da sostanze perfluoro alchiliche nell’Ovest Vicentino. I campionamenti eseguiti dall’unità socio-sanitaria di Arzignano nei punti di erogazione dell’acqua confermano i dati delle misurazioni sui pozzi eseguite dall’Arpav ma dimezzano di mediai numeri di presenza degli inquinanti dalle rilevazioni del Cnr. Tutto questo, comunque, in assenza di un parametro di riferimento che tutti, enti gestori, Ulss e sindaci, si augurano possa arrivare oggi dal ministero.
L’Ulss 5 ha effettuato campioni su 16 punti di erogazione dell’acqua: dalla fontanella nella piazza di paese al rubinetto dei locali pubblici, dal campo sportivo ai negozi. «Un controllo attendibile su quello che esce dal rubinetto – spiega il responsabile del Dipartimento di sicurezza alimentare dell’Ulss 5 Giancarlo Acerbi – i risultati confermano una presenza più alta di sostanze perfluoro alchiliche nella zona sud, quindi Brendola, Sarego e Lonigo. Con concentrazioni di poco superiori ai 1.000 nanogrammi a litro per Brendola e Lonigo, abbondantemente inferiori a 1.000 a Sarego. Si tratta però di valori dimezzati se non addirittura ridotti ad un terzo rispetto al prelievo del Cnr. Con una precisazione importante: il Cnr ha eseguito la campionatura sui punti di erogazione e non su tutti i comuni. L’Arpav invece sui pozzi. E dal pozzo al punto di erogazione dell’acqua ci possono essere trattamenti, diluizioni, miscelazioni a seconda della rete che li rendono diversi.
Il dato relativo ai pozzi ci interessa per capire lo stato di salute della falda quello sui punti di erogazione perché è l’acqua che esce dal rubinetto e arriva all’utente». I risultati dei controlli dell’Ulss 5 sono stati inviati in Regione. «L’acqua quindi resta potabile – continua Giancarlo Acerbi – perché in questo momento il nostro unico riferimento è il parere dell’Istituto superiore della sanità comunicato il 10 giugno: secondo la raccomandazione dell’ente europeo per la sicurezza alimentare i livelli, con questo ordine di grandezza sono inferiori aIla dose giornaliera considerata tollerabile per un individuo. Rispetto a questi riferimenti quindi possiamo essere tranquilli. Nonostante questo il monitoraggio continua». Per quanto riguarda gli enti gestori Acque del Chiampo e Medio Chiampo hanno avviato le verifiche nell’ambito del programma di monitoraggio concordato con gli enti di controllo. Attivando le iniziative opportune per ridurre i valori di concentrazione delle sostanze inquinanti. In particolare ad Acque del Chiampo dove si sono registrati 1.000 nanogrammi per litro circa su Lonigo e Brendola In attesa di ulteriori indicazioni sull’attivazione dei sistemi di filtrazione con i carboni attivi, che richiedono tempo per essere installati, si parla di 3-4,mesi, e investimenti importanti.
«Per l’acquedotto di Lonigo distribuiamo risorsa idrica fornita da Acque Veronesi, che si è già attivata per la filtrazione – spiega il direttore generale Alessandro Rebellato – per il pozzo di Brendola gestito da noi, stiamo canalizzando acqua da Montecchio Maggiore in modo da ridurre così la concentrazione di microinquinanti. Provvedimento assunto in via prudenziale e preventiva visto che non abbiamo paramtri di riferimento». Per Medio Chiampo comuni di Gambellara, Montebello e Zermeghedo, i dati Arpav, confermati dai controlli dell’ente gestore, sono invece al di sotto dei 100 nanogrammi per litro. «Prelievi effettuati su 6 pozzi diversi – spiegail direttore Luigi Culpo – abbiamo comuque attivato, su uno dei pozzi minori a Gambellara il sistema di filtrazione ai carboni attivi che era già stato installato per verificare se effettivamente così si riduce la concentrazione dei microinquinanti».
E il caso va in Parlamento. C’è l’interrogazione di Sbrollini e Ginato del Pd
Non esiste una norma che stabilisca il grado di pericolosità delle sostanze pefluoro- alchiliche. Per questo motivo i parlamentari vicentini che quelle norme dovrèbbero contribuire a redigerle e ad approvarle si stanno muovendo. «Colmiamo il vuoto normativo riguardante l’inquinamento delle acque causato da sostanze perfluoro-alchiliche» dichiarano gli onorevoli Sbrollini e Ginato che promuovono un’interrogazione al Ministro dell’Ambiente Orlando, sottoscritta anche dagli altri parlamentari vicentini del Partito Democratico, per sollecitare l’inserimento di questa tipologia di composti nelle tabelle delle sostanze inquinanti. «Nonostante il grado di pericolosità di questi prodotti chimici usati nella lavorazione industriale sia in corso di accertamento – affermano i deputati -, esiste una Raccomandazione Comunitaria che già dal 2010 chiede di monitorarne la presenza negli alimenti poiché tali sostanze sono associabili a un ampio spettro di effetti sulla salute. La conclusione che possiamo azzardare è quindi la più ovvia: oltre certi parametri questi prodotti sono dannosi. Tanto che la Germania si è già dotata di una normativa che fissa un tetto di 100 nanogrammi per litro, quando a Brendola, Sarego e Lonigo la concentrazione supera i 1500 nanogrammi per litro, e in un pozzo in zona industriale a Vicenza si sfiorano i 2000». «Anche in vista del vertice di domani al Ministero dell´Ambiente, invitiamo il Ministro Orlando a non abbassare la guardia e ad agire in modo severo su parametri, azioni di messa in sicurezza e controllo delle acque. Sono diverse nel nostro territorio le problematiche che interessano ambiente e salute, e che stiamo seguendo, dalla Cava Vianelle alla questione amianto». E Ginato sottolinea: «Chiediamo inoltre l’attenzione del Ministro in merito alla vicenda della Valdastico Sud, alla luce dell´inchiesta sulla presunta presenza, nel sottofondo dell’autostrada, di materiali inquinanti che avrebbero contaminato la falda sottostante.
«In questo contesto – aggiunge Sbrollini – è chiaro che tutelare le sedi di Arpav diventa essenziale, poiché in alcun modo possiamo permetterci di indebolire il sistema di controlli già carente minacciando l’ambiente e la salute dei cittadini».
Oggi vertice al Ministero: «Vanno fissati dei limiti»
Serve un decreto che indichi la concentrazione oltre la quale c’è il danno per la salute pubblica. La Regione Veneto ha chiesto al ministero dell’Ambiente e della Salute un incontro per avere delucidazioni su come muoversi. Il vuoto normativo ha reso questi giorni difficili e delicati per tutti gli enti coinvolti visto che si tratta di potabilità dell’acqua e dei rischi legati all’ambiente. L’Istituto superiore della sanità ha rassicurato escludendo pericoli immediati per la salute. L’utilizzo dei carboni attivi, poi, avviato in via preventiva da alcuni gestori sembra essere efficace nell’abbattimento della contaminazione, una contaminazione che a detta dei tecnici va fermata o quantomeno contenuta.
Fino ad ora non sono stati richiesti trattamenti specifici all’azienda che ha causato I’inquinamento. Solo il decreto che i Ministeri emaneranno farà chiarezza sul futuro sia sul fronte della potabilità sia su quello degli scarichi. Da Roma dovrebbero dare anche indicazioni sui tempi di adeguamento per l’azienda per ridurre le emissioni.
I tecnici romani potrebbero decidere di far riferimento ad una normativa in vigore in altri Paesi o ad una sostanza tossica tabellata affine. A seguito di questi limiti, se le concentrazioni riscontrate nei pozzi saranno superati, la Regione potrebbe essere titolata all’azienda fonte di inquinamento dei provvedimenti immediati per ridurre o sospendere le emissioni incriminate.
La Ue: «Monitorate gli alimenti»
IN EUROPA. Nel 2010 la Commissione ha raccomandato agli Stati di misurare la presenza di composti fluorurati nei cibi. Da Bruxelles è arrivata una Raccomandazione comunitaria
Dall’industria all’ambiente e dall’ambiente alla catena alimentare, il passo è breve. Non è una novità che sostanze chimiche vengano sospettate di essere pericolose per la salute umana, magari a distanza di anni dal loro utilizzo, senza che vi sia una normativa definita in merito, né un limite di guardia preciso, come nel caso delle sostanze perfluoroalchiliche (Pfas). Anche se in realtà questi composti chimici vengono adoperati dall’industria fin dagli anni Cinquanta, in particolare nei settori della metallurgia, della plastica, del tessile e della carta. Due sottogruppi importanti di queste sostanze, il perfluorottano sulfonato (Pfos) e l’acido perfluoroottanoico (Pfoa) sono ampiamente usati nei beni di consumo, tra i quali rivestimenti idrorepellenti e antimacchia per tessuti, rivestimenti resistenti all’olio per carte alimentari, schiume antincendio, prodotti per la pulizia di pelli e tessuti, vernici per pavimenti, insetticidi, ma anche shampoo e dentifrici. Proprio a causa della loro ampia diffusione, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha chiesto al suo gruppo di esperti scientifici sui contaminanti della catena alimentare un parere sull’esposizione umana al Pfos e al Pfoa. Secondo gli esperti dell’Efsa un’elevata esposizione a queste sostanze può avere conseguenze dannose per la salute, soprattutto a carico di fegato, tiroide e in termini di disturbi dello sviluppo.
Il comitato ha indicato anche le dosi giornaliere tollerabili, pari a 15O nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno per il Pfos, e 1500 nanogrammi per il Pfoa giungendo alla conclusione secondo cui è improbabile che l’esposizione a questo tipo di sostanze attraverso la dieta abbia effetti negativi sulla salute della popolazione europea. Questo perché la dose quotidiana massima non viene raggiunta salvo che da alcuni grandi consumatori di pesce contaminato. Pfus infatti sono state trovate principalmente in frattaglie di pesce e di mammiferi selvatici, molluschi e crostacei.
Sempre secondo lo studio, il contributo dell’acqua potabile nell’esposizione giornaliera è minimo: appena lo 0,5 per cento per il Pfos e il 16 per cento per iI Pfoa. In sostanza, nel suo parere scientifico, I’Efsa ritiene improbabile che questi composti abbiano effetti nocivi per la popolazione.
E tuttavia la Commissione europea nel 2010 ha raccomandato agli Stati membri di monitorare la presenza di sostanze perfluoro-alchiliche in un’ampia varietà di prodotti alimentari, per consentire una stima esatta dell’esposizione, a conferma che la questione non va sottovalutata. Tra il 2000 e il 2009 sono stati eseguiti 4881 rilevamenti; un numero ancora molto basso. Di questi appena 18 (il 2,4 per cento) sono stati effettuati in Italia. Da questo punto di vista il modello da seguire è la Germania dove nello stesso periodo i monitoraggi sono stati 3662, vale a dire il 75 per cento della totalità europea.
A cura di Sivemp Veneto – servizio tratto da il Giornale di Vicenza – 11 luglio 2013