Lactalis. L’orgoglio dei francesi: «Con noi Galbani è brand italiano formaggi più noto al mondo, a Collecchio bilancio record»
Lactalis non ci sta, passa al contrattacco. Il primo produttore mondiale di latte e formaggi, che ha investito in Italia quasi 5 miliardi, tra Locatelli-Invernizzi, Galbani e Parmalat non intende lasciare le sue aziende nell’incertezza.
E ha già cominciato a studiare un piano B nel caso in cui il tribunale di Parma, nei prossimi giorni, decida di revocare il consiglio di amministrazione di Parmalat e nominare un amministratore giudiziario. Sarebbe il primo caso italiano di procedura di controllo giudiziario su una società quotata in base «al fondato sospetto di atti degli amministratori in danno della società».
I francesi non la prenderebbero bene. La famiglia Besnier considera l’Italia il suo secondo mercato dopo la Francia, nella Penisola è arrivata 15 anni fa e, acquisizione dopo acquisizione, è arrivata a creare la realtà numero uno nel settore lattiero-caseario, con ricavi per 2,5 miliardi, una quota di mercato del 25%, 5.100 dipendenti e 1.700 agenti di vendita con altrettanti furgoncini.
Il nodo della discordia
Il gruppo, fondato a Laval nel 1933, negli ultimi mesi ha congelato le proprie strategie per occuparsi della vicenda giudiziaria e non esclude di rivedere i suoi piani di investimento nella Penisola. Nel caso in cui Parmalat venisse commissariata, Lactalis sta studiando come fare ricorso fuori dai confini, portando il caso all’attenzione internazionale. Il che non sarebbe di buon auspicio per gli investimenti esteri in Italia.
Il casus belli è l’acquisizione infragruppo della controllata Usa Lag sul cui prezzo si è aperto uno scontro con gli azionisti di minoranza degenerato in un procedimento civile d’urgenza. La transazione pagata con la cassa di Parmalat (metà del famoso «tesoretto») come tutte le operazioni tra parti correlate comporta un conflitto di interessi connesso proprio alla definizione del prezzo. L’azienda rivendica che l’operazione ha portato benefici al gruppo perché Lag è un produttore di formaggi con un fatturato di 1 miliardo di dollari e 95 milioni di ebitda che ha completato la filiera oltreoceano di Parmalat. La riorganizzazione delle attività Usa è fondamentale per la multinazionale francese anche perché consente di realizzare sinergie tra Collecchio e l’altro suo asset italiano, Galbani.
Lag-Parmalat ha infatti un accordo per l’utilizzo e lo sfruttamento del marchio Galbani nel continente americano per 20 anni. Questo contratto «prevede la progressiva migrazione da prodotti a marchio proprio a prodotti a marchio Galbani» e impegna Lag a «riconoscere alla spa Egidio Galbani royalties sul fatturato netto generato e a sostenere la strategia di marketing e gli investimenti pubblicitari nel quadriennio 2012-15».
Lactalis al momento dell’Opa su Parmalat si era impegnata a non integrare le sue partecipate italiane, ma la ricerca di sinergie industriali e di efficienza è nella logica di una multinazionale. Anche perché Groupe Lactalis ha scelto solo tre marchi globali sui 100 che ha in portafoglio: il primo è il francese Président, con un giro d’affari di circa 1,6 miliardi, e gli altri due sono proprio Galbani e Parmalat. Da quando è francese Galbani è passata da 52 a 114 Paesi, diventando la prima marca di formaggi italiani nel mondo. Parmalat invece ha chiuso «il miglior bilancio della sua storia».
I numeri
Le due aziende lavorano ogni anno 1,9 miliardi di latte che per il 70% viene conferito da allevatori italiani. I margini però sono bassi e le trattative sono sempre più dure: l’ultimo contratto è stato firmato da Confagricoltura e Cia e rifiutato da Coldiretti.
I due brand italiani che esportano in tutto il mondo soffrono in Italia per colpa della crisi. Il bilancio 2012 di Parmalat si è chiuso «con risultati record in termini di mol e generazione di cassa»: il fatturato consolidato è arrivato a 5,2 miliardi (+16%) e il margine operativo lordo è aumentato del 17% (a 439,2 milioni) e il primo semestre 2013 ha confermato la dinamica di crescita (+14% per i ricavi e +18,9% per il margine operativo). In Italia invece il fatturato è calato del 3,7% (942 milioni) e il mol del 2,6% (93,6 milioni).
Parmalat ha mantenuto la posizione di leader nel latte Uht, per il quale ha appena inaugurato una nuova linea di produzione, ma il premio per obiettivi per i lavoratori non è stato raggiunto. Il piano industriale triennale ha previsto 200 milioni di impegni in nuove tecnologie e marketing e ha scommesso su un aumento dei volumi del 4,4%, ma ha previsto anche la chiusura di tre stabilimenti e il ricollocamento di 120 persone.
Situazione simile per Lactalis Italia (cui fanno capo la spa Egidio Galbani e i brand Invernizzi, Locatelli, Vallelata e Cademartori) che ha registrato una flessione del 2,4% dei ricavi consolidati (1,4 miliardi) a causa del «calo dei volumi di vendita e alla cessazione di un importante rapporto di fornitura». Anche Lactalis ha pagato un tributo al ridimensionamento del mercato con una riduzione di 50 unità della forza vendita, ma conferma la strategia: «Pur con prospettive a breve che non prevedono un ripresa dei consumi — afferma il bilancio — il management del gruppo è orientato a mantenere la propria leadership di mercato con un approccio commerciale focalizzato a differenziare sui principali canali di vendita».
Corriere economia – 28 ottobre 2013