Da rarità ornitologica a presenza costante, i cormorani hanno fatto della laguna di Venezia uno dei loro habitat migratori favoriti. Gli esemplari di questo uccello pescatore erano soliti arrivare qui dal Nord Europa per passare la stagione fredda, poi, circa una ventina di anni fa, hanno fatto del luogo di villeggiatura la loro residenza permanente: ora ci sono circa ottomila esemplari ma fra questi 250 coppie nell’area che va dalla Laguna Nord al delta del Po, la principale zona umida d’Italia, sono diventati stanziali.
Il motore restano comunque le migrazioni stagionali sempre più consistenti, negli ultimi anni il numero di cormorani in laguna è esploso, toccando qualche stagione fa il record di 11 mila tra indigeni e «migranti»: non c’entrano i cambiamenti climatici, ma solo la crescita delle colonie dei loro parenti dell’Europa settentrionale, che spingono i pennuti a spostarsi. A far gola a tante migliaia di becchi da sfamare sono i bacini per itticoltura estensiva della laguna, le valli da pesca.
Nelle peschiere invernali i pesci sono facile preda: il nero cormorano si tuffa e, affusolandosi, insegue il pesce sott’acqua, come un pinguino, poi lo afferra con il becco uncinato e arriva a mangiarne tra i tre e i cinque etti al giorno; altrettanti pesci riescono a sfuggirgli, ma rimangono feriti, rischiando di morire per infezioni. Se moltiplichiamo il pasto (e i danni) di un cormorano per i circa 7-8 mila esemplari contati dall’ultimo censimento, la situazione è critica.
L’allarme è stato lanciato alcuni giorni fa dagli esperti di Confagricoltura, che chiedevano alla Regione un tavolo di confronto sull’aumento smisurato di alcune specie, prima che la situazione si aggravi come è successo con i cinghiali sui Colli Euganei: «Il cormorano non è protetto ma non si può comunque cacciare se non con deroga provinciale alla legge nazionale, come avveniva fino a due anni fa – lamenta Matteo Poja, vallicoltore della zona di Caorle – Poi, con la Città metropolitana, la competenza è passata alla Regione ma non c’è stato nessun piano di abbattimento: intanto usiamo reti, bandiere, segnali acustici e luminosi per dissuadere i cormorani, ma non bastano».
Le reti non si possono stendere sulle ampie superfici delle valli; rimangono palloni con cerchi disegnati, a mo’ di occhi di rapace, e gli spari a salve, ma i cormorani si abituano in fretta: «La Regione dovrebbe autorizzare tutti, non solo i vallicoltori, a sparare ai cormorani – dice Valerio Zoggia, sindaco di Jesolo, con delega alla Caccia per la Città metropolitana – oppure l’assessore Pan lasci a noi la delega per fare il piano di abbattimento, la situazione è tragica». Gli studiosi, come i vallicoltori, sanno che sparare senza organizzazione sarebbe un palliativo: «I cormorani volano per decine e decine di chilometri, non avrebbero difficoltà a spostarsi in un altra, creando altri danni – puntualizza Mauro Bon del Servizio Attività Monitoraggio e Valorizzazione del Patrimonio Naturalistico dei Musei Civici, che dal 1993 monitora l’avifauna lagunare – E’ necessario studiare la questione. Sicuramente, bisogna agire almeno su scala regionale, se non interregionale, perché i cormorani del Nord Europa puntano al bacino dell’alto Adriatico e non conoscono confini».
Da quest’anno sarà più difficile monitorare la situazione: la Città metropolitana ha interrotto i finanziamenti per censire gli uccelli della laguna, un’operazione che impiega una quarantina di persone per tre giorni: «La copertura è arrivata dall’associazione Faunisti Veneti, ma abbiamo ridotto all’osso le spese – sottolinea Bon – La buona notizia è che tutte le specie di uccelli acquatici sono in aumento: nonostante moto ondoso e inquinamento la risposta della laguna è abbastanza buona».
Il Corriere del Veneto – 2 luglio 2017