Dossier della Statale di Milano sulle inchieste degli ultimi cinque anni: “Le cosche hanno successo perché danno assistenza come la mutua”
“PIÙ veloci di chi dovrebbe contrastarle, le mafie sono già avanti. Al Nord, la “zona grigia” si è fatta “sistema”, un gruppo criminale a sé, capace di entrare in relazione, anche attraverso proprie imprese, con le cosche, come con la politica, offrire servizi, ricavarne vantaggi. Un network della corruzione, una mutua della malavita con i piedi ben piantati nel mondo delle professioni e le mani ovunque. Con il vantaggio competitivo di un braccio armato pronto all’uso. Con i “facilitatori” che corrono veloci tra un summit e una seduta consiliare per blandire, minacciare, scambiare voti, consenso, incarichi e fedeltà. Lavoro: appalti e non solo. Soprattutto nel settore della Sanità, il vero eldorado. In una Regione che in assistenza impegna l’80 per cento della propria spesa contro, per esempio, il 54 della Sicilia.
Analizzando dati e inchieste degli ultimi 5 anni, da Palermo a Milano, questo racconta il secondo rapporto trimestrale sulla presenza mafiosa nelle aree settentrionali, elaborato per la presidenza della commissione Antimafia dall’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università di Milano diretto da Nando Dalla Chiesa. Il rapporto viene presentato oggi a Como, dal presidente dell’Antimafia nazionale, Rosy Bindi, e della Regione Lombardia, Antonio Girelli e da Piero Colaprico di Repubblica.
“Investighiamo qui l’area della complicità e della convenienza. Quel mondo trasversale che non solo non contrasta o ne nega l’esistenza, ma spesso ricerca la mafia”, spiega Rosy Bindi. “La scommessa è quella di elaborare strumenti di prevenzione che chiamano alla responsabilità le associazioni degli imprenditori e gli ordini professionali”. Un focus non sull’universo rarefatto dell’alta finanza, ma un faro puntato sulla quotidianità dei colletti bianchi in permanente relazione con la schiera di apparenti dimessi manovali, ambulanti, baristi e piccoli imprenditori con quattro quarti di nobiltà mafiosa da esibire all’occorrenza.
Mentre politica e magistratura dibattono a fasi alterne sull’essenza del concorso esterno, la cronaca offre l’esempio di un medico boss come Carlo Antonio Chiriaco, al vertice dell’Azienda sanitaria di Pavia, capace di controllare 780 milioni di spesa pubblica per dirottarne una parte nelle casse di Pino Neri e Cosimo Barranca. Ma anche di ospitare latitanti, procurare perizie e offrire un comodo letto a chi ai rigori della cella preferisce la libertà di movimento di un ricovero in clinica: i calabresi Pasquale Barbaro e Francesco Pelle e il casalese Giuseppe Setola.
“Il modello sanitario lombardo, lo dicevamo già qualche anno fa, presentava fragilità che hanno aperto le porte a un sistema di corruzione e di mafiosità”, aggiunge la Bindi.
Al Nord che finge di non vedere quanto il cancro sia esteso, il rapporto ricorda che perfino i servizi infermieristici del carcere di Opera, dove era detenuto Totò Riina, sono finiti sotto lo stretto controllo dei clan calabresi e siciliani. Dalla Lombardia, Pavia e Monza soprattutto, al Piemonte e giù fino in Liguria, e poi in Emilia, nel Modenese per spingersi in Veneto, il crimine piazza bandiere ovunque. Controlla i mercati, fa shopping di aziende in crisi, si incunea nella galassia dei subappalti, costruisce a tavolino i propri “giocattoli”, ditte formalmente pulite ma controllate dai mammasantissima. Il ciclo del cemento resta il business di riferimento di un’economia che non è affatto liquida, ma molto terrena, ricordano i ricercatori. Calcestruzzo, trasporti, guardianie e movimento terra. Dentro i cassoni finisce di tutto. Rifiuti speciali e pericolosi, declassificati con un tratto di penna sui documenti che dovrebbero attestarne il rischio.
A chi si volta dall’altra parte, il rapporto consiglia di dare un’occhiata alla teoria di danneggiamenti, apparentemente inspiegabili. Pezzi interi di economia legale galleggiano su un mare di denaro illegale. Con la Lombardia oramai pressoché monopolio della ‘ndrangheta, in gran fermento per l’Expo, il Piemonte della Tav disseminato di siti per lo smaltimento illegale dei rifiuti, la Liguria in cima alla lista per reati ambientali e l’Emilia che ha concesso ospitale asilo a mafia, camorra e ‘ndrangheta.
Il rapporto analizza il metodo e utilizza come paradigma la scalata a una consociata lombarda del colosso delle consegne Tnt attraverso la rete dei padroncini controllati dai boss. Quando i vertici aziendali si convincono a far fuori il clan Flachi è un ex colonnello dei carabinieri, Carlo Alberto Nardone, a elaborare la teoria del chiodo schiaccia chiodo: se vuoi liberarti di una cosca devi appoggiarti a un’altra che regoli i conti. E se l’operazione non riesce devi tenertele entrambe. C’è poi il caso del centralone telefonico della Blue Call. Alla testa dell’azienda erano rimasti vittima della sindrome Calvi, dal banchiere che era convinto di utilizzare Cosa nostra come finanziatore. Anche alla Blue Call si erano detti convinti di potere tenere testa al clan Bellocco. Fino a quando non si resero conto che i boss si erano impadroniti prima del 30 per cento e poi dell’intera azienda.
Repubblica – 17 aprile 2015