Con la sentenza n. 11356/11 la Cassazione ha stabilito che l’impossibilità di ricorrere al repechage, da parte dell’imprenditore che licenzi un dipendente, non può essere provata soltanto con l’assenza di nuove assunzioni in uno specifico ramo d’azienda.
Il caso
Due dipendenti di una società si rivolgono al Tribunale di Como, chiedendo l’annullamento dei licenziamenti intimati per giustificato motivo. In primo grado il loro ricorso è accolto, ma la Corte d’Appello accoglie l’impugnazione della società e rigetta le domande di reintegra. I giudici territoriali avevano concluso per la riforma della sentenza di primo grado ritenendo provata la legittimità dei licenziamenti, dovuti al motivo oggettivo della soppressione del posto di lavoro dei lavoratori, con distribuzione delle loro mansioni tra gli altri dipendenti.
I lavoratori, con l’unico motivo di ricorso che viene accolto dalla Cassazione, lamentano, però, che la società non avrebbe assolto all’obbligo di repechage. Infatti, a fronte della piena disponibilità ad essere impiegati in tutto il ramo tecnico o nell’ufficio industrializzato del prodotto, fornita dai lavoratori, la società avrebbe motivato l’impossibilità di un loro reimpiego con la mancata assunzione di altri dipendenti negli specifici rami d’azienda indicati dai lavoratori.
Il Collegio, ritenendo condivisibile il motivo di ricorso, afferma che l’imprenditore, per giustificare l’impossibilità di impiegare il dipendente licenziato in altri settori, non può limitarsi a sostenere che in tutto il ramo tecnico, nel quale il dipendente aveva manifestato la disponibilità ad essere reimpiegato, non sono stati assunti altri lavoratori dopo il licenziamento, perché ciò si fonda su «un dato che potrebbe essere semplicemente occasionale o, in ipotesi, voluto e che, pertanto, non può dar contezza dei reali sforzi seguiti in concreto dalla parte datoriale nell’assolvimento del predetto obbligo».
Le motivazioni svolte dai giudici di merito non consentono, pertanto, di verificare se l’azienda ha effettivamente cercato di utilizzare il dipendente in altro posto di lavoro per il disimpegno delle stesse mansioni o di altre equivalenti all’interno dell’impresa, perché di ciò non è stata fornita una valida prova. In conclusione, ritenendo che si tratta di una questione che, se adeguatamente provata, potrebbe portare a una diversa decisione, accoglie il motivo di ricorso e rinvia la causa al giudice d’appello per una nuova decisione
lastampa.it – 2 novenbre 2011