La fiammata delle commodity rischia di innescare un processo inflazionistico su tutta la catena agroalimentare. Ma nell’immediato presenta un conto salato alla zootecnia dove gli aumenti dell’energia e delle materie destinate ai mangimi insieme agli inasprimenti fiscali hanno già fatto saltare i conti aziendali.
Secondo un report di Ismea che verrà presentato oggi agli «stati generali del latte» alla Fiera di Cremona, i costi dei fattori produttivi sono aumentati del 2,5% mentre i prezzi alla produzione nei primi 9 mesi dell’anno sono scesi del 6,4 per cento. Anche nelle stalle suine la situazione non è delle migliori. Se le performance in termini di prezzi sorridono agli allevatori (i prezzi attuali viaggiano intorno a 1,75 euro al chilo, il 14% in più rispetto a dodici mesi fa) la redditività secondo le stime del Crefis è peggiorata di un ulteriore 0,4 per cento. Anche le carni bovine non si discostano da questo trend: nei primi 7 mesi dell’anno l’Istat certifica un calo del 5,2% dei capi macellati con una riduzione di oltre il 10% di vitelloni e manzi e del 4% per i vitelli.
L’industria dei mangimi, Assalzoo, conferma la spirale dei rincari. Gli aumenti più alti e preoccupanti si registrano nei prezzi del girasole, che ha toccato un incremento del 76,7%, e nella farina di soia, che si attesta a +72 per cento. Ma importanti incrementi si rilevano anche nei prezzi dell’erba medica, arrivata a +29,6%, della farina glutinata (+26,3%), del grano tenero, con +24,5% e della farina di pesce (+23,7%).
E le previsioni per il medio periodo non lasciano trasparire nulla di buono. «Alla forte volatilità – spiega il segretario generale di Assalzoo, Lea Pallaroni – fa seguito, infatti, la notizia di un raccolto di mais nazionale inferiore di oltre il 20% rispetto al 2011, cui devono aggiungersi, per una parte importante di ciò che è stato raccolto, livelli di aflatossina B1 notevolmente superiori alle soglie massime consentite dalla normativa comunitaria, che renderà di fatto parte del raccolto inutilizzabile».
Le condizioni, insomma, non sono ancora favorevoli per la ripresa. «In dieci anni – ha spiegato il presidente di Cremona fiere e della Libera associazione degli agricoltori, Antonio Piva – le stalle da latte sono scese da 120mila a circa 38 mila. E ora attendono un segnale concreto della politica per recuperare competitività». Il nodo resta quello del prezzo. «Gli ultimi accordi sono stati fatti a 37 centesimi – continua Piva – troppo poco con i mercati mondiali in tensione e una produzione estiva scesa del 20 per cento. Senza un concreto passo in avanti saremo invasi dal prodotto tedesco o francese». Dal canto loro gli allevatori puntano sulle nuove opportunità offerte dalla Ue con il cosiddetto pacchetto qualità «per far nascere nuove cooperative in grado di rappresentare il 50% delle imprese che finora ha negoziato per sè».
Perplessità anche sull’articolo 62 che introduce tempi certi per i pagamenti: «Si rischia di complicare la situazione. Oggi, infatti, gli allevatori sono a secco di liquidità – conclude Piva – e con le ditte dei mangimi sono stati presi accordi per dilazionare i pagamenti fino a 5 mesi. Sarà difficile accorciare i tempi».
Il Sole 24 Ore – 30 ottobre 2012