La scarsa apertura al mondo mediatico e al grande pubblico potrebbe essere la causa
Si è tenuta a Palermo il 22 ottobre, la giornata di studio su “L’accreditamento per la sicurezza alimentare e la salute” organizzata dall’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sicilia, col contributo di Accredia l’ente nazionale che si occupa di accreditamento. La notizia non è proprio frizzante direbbero i giornalisti, ma è lo spunto per parlare di queste strutture del tutto sconosciute al grande pubblico anche se ogni giorno eseguono analisi di controllo e fanno ricerche in ambito alimentare. Basta citare realtà come l’Istituto zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta che ha gestito questa estate la questione Anisakis in modo meticoloso affiancando un’attività di informazione delle persone che lavorano nella ristorazione spiegano come affrontare un problema che sta diventando sempre più serio.
A parte qualche caso sporadico, i cittadini scoprono l’esistenza degli Izs in occasione delle crisi alimentari, come è avvenuto per la questione della Bse (“mucca pazza”), della diossina, dell’influenza aviaria o delle alle mozzarelle blu. Pochi sanno che è grazie all’efficacia del sistema di sorveglianza degli Izs, in Italia si è ripreso a vendere la “bistecca con l’osso” senza rischi Per rendersi conto di questa realtà basta ricordare che siamo di fronte a 10 Istituti con 90 sezioni dislocate sull’intero territorio nazionale che non si occupano solo di sorveglianza epidemiologica, e controllo dei prodotti alimentari di origine animale e vegetale ma fanno anche ricerca scientifica di ottimo livello, basata sull’esperienza e sulle conoscenze del territorio utilizzando tecnologiche di avanguardia. Il problema degli Istituti zooprofilattici è di non riuscire o volere aprirsi al mondo mediatico, per farsi conoscere meglio al grande pubblico e per diffondere le ricerche in corso.
L’accreditamento degli Izs e dei laboratori viene fatto da Accredia, un ente che garantisce la qualità e l’affidabilità dei metodi di analisi utilizzati nel rispetto delle norme internazionali ISO per garantire a tutti gli operatori, pubblici e privati, di condividere un unico linguaggio.
fonte: Ilfattoalimentare.it
venerdì 22 ottobre 2010