Il fallimento dei lavori usuranti. Capitolo controverso della lunga e tormentata storia delle pensioni italiane. Sembrava una grande conquista già negli anni Novanta. Invece, non lo era, tanto che nel 2007 una legge provò a fare ordine, con poco successo. Un flop che passò poi dal tagliando della riforma Fornero che spostò ancora più in avanti l’età per accedere al pensionamento anticipato per coloro che nella vita svolgono lavori di particolare disagio.
Norme rimaste sostanzialmente inapplicate e nate male, finite nel calderone parlamentare che tra rinvii, elezioni, pareri mancanti, termini scaduti, crisi di governo, fissò solo nel 2011 i criteri indispensabili per usufruire delle risorse di un Fondo utilizzato solo in minima parte.
Le categorie dei lavori usuranti, in realtà, ci sono dal 2007 e sono quattro: quella che riguarda le mansioni più gravose ed esposte a rischi come i lavoratori delle cave, delle miniere, i palombari e altro; i lavoratori notturni definiti in base a intervalli orari ben precisi; gli addetti alla catena di montaggio e i conducenti di mezzi pubblici da nove posti in su.
Ogni categoria ha i suoi requisiti, modificati nel 2012. Resi così vincolanti, però, da aver creato un imbuto strettissimo che ha escluso il grosso delle pratiche inoltrate dai patronati. Su 11.124 domande presentate al 2011, ne risultano accolte 3 mila e respinte più di 8 mila. La conseguenza è stata che del fondo predisposto per le coperture, non sono stati pagati 1,5 miliardi di euro stanziati dal 2009 al 2013.
Non mancano paradossi di estrema burocrazia. Francesco Palmieri lavora da 40 anni a 70 metri di profondità, in una cava di pietra nella provincia di Foggia: si occupa della quadratura del blocco che esce dalle viscere della terra. Il suo sindacato, la Fillea-Cgil gli ha preparato la pratica perché a 62 anni compiuti dovrebbe andare in pensione. «Ma l’Inps mi ha detto che non ho 10 anni di continuità aziendale». E’ proprio così: uno degli stringenti requisiti Inps prevede che i cavatori per 10 anni di seguito lavorino nella stessa ditta. Palmieri ha tutto a posto, lavora da sempre per lo stesso datore, ma lo ha fatto per due sue aziende diverse, come accade spesso a seconda delle commesse. Mentre un nuovo disegno di legge è approdato un mese fa alla Camera per includere gli edili e chi vive in equilibrio sulle impalcature (sono le prime vittime sul lavoro), nel 2016 un’ulteriore stretta ha ancora più irrigidito i requisiti sugli usuranti, già particolarmente cavillosi.
I lavoratori notturni, per esempio, che devono dimostrare di esser stati in servizio per almeno 6 ore, nella fascia tra mezzanotte e le cinque del mattino, per un numero minimo di giorni lavorativi annui non inferiore a 78. Basta un’ora, o un giorno, e il bollo sulla pratica è «respinto». E ancora: «Lavori svolti in spazi ristretti», con «carattere di prevalenza e continuità», in particolare nel settore navale, dove le mansioni devono essere svolte in «intercapedini, pozzetti, doppi fondi, di bordo o di grandi blocchi strutture». Vallo un po’ a dimostrare all’Inps.
Ovviamente la pratica deve essere controfirmata dall’azienda che ha il gravoso compito di tenere un dettagliato resoconto, e a cui – è la speranza del lavoratore – non deve sfuggire nulla sui tempi e i luoghi.
Di per sé, chi svolge attività usuranti per accedere alla pensione anticipata non ha vita facile: se ha iniziato a lavorare presto (e sono tanti), raggiunge prima il requisito di anzianità contributiva prevista per i lavoratori precoci (41-42 anni), rispetto all’età pensionabile (62 anni e mezzo) richiesta ad hoc dalla Fornero per chi ha svolto tali attività.
A qualcuno è andata anche peggio. Sul libretto di lavoro di Pietro Fruzzetti è impressa una data: 31-12-1971. E’ il giorno in cui è entrato in cava, nei bacini di Massa Carrara. Aveva 14 anni. Per effetto della legge del 2011 non riesce ad andare in pensione, malgrado 44 anni e 4 mesi di contributi. «Tutte le volte l’Inps mi dice sempre che manca la documentazione dettagliata sui versamenti – racconta – Ora mi sono rivolto a un avvocato. A livello di salute non sono messo bene, ma secondo la legge dovrei lavorare ancora un anno e mezzo. Così andrò in pensione dopo quasi 46 anni di contributi».
Uno dice cave e pensa ai bei marmi italiani, invidiati in tutto il mondo. Dietro, c’è un lavoro definito usurante, perché, spiega Fruzzetti, «siamo a cielo aperto, con il freddo di inverno e il caldo d’estate, esposti a continui sbalzi di temperatura». Poi, tra le bancate di marmo e macchinari con fili diamantati, si rischia la vita. Solo nel 2014 nel bacino di Massa sono morti sei cavatori. Nel 2015, tre.
La stampa – 1 maggio 2016