Il decreto legge sul pubblico impiego, approvato dal Consiglio dei ministri lunedì, rafforza le misure volte a contenere l’utilizzo del lavoro flessibile nella pubblica amministrazione.
Negli ultimi anni il legislatore è intervenuto molte volte sull’articolo 36 del Testo unico pubblico impiego decreto legislativo 165/2001), allo scopo di prevenire il ricorso eccessivo al lavoro flessibile, ma con scarsi risultati, come confermano le statistiche sul numero di lavoratori instabili assunti dalla Pa. Nel decreto appena varato dal Governo, la modifica si riduce all’introduzione dell’avverbio “esclusivamente” all’interno del corpo del citato articolo 36.
La norma, nel testo previgente, già stabiliva che le pubbliche amministrazioni potevano utilizzare forme di lavoro flessibile previste dall’ordinamento «per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali».
Con il nuovo decreto, viene specificato che il ricorso ai contratti diversi dal lavoro subordinato a tempo indeterminato è consentito «esclusivamente» in presenza delle predette esigenze temporanee ed eccezionali; di fatto, tra la vecchia e la nuova versione non ci sono differenze, a meno che non si voglia sostenere che la norma precedente lasciava spazio a dubbi interpretativi (ma questi dubbi, fino ad oggi, non erano mai emersi).
La riforma risulta più innovativa nella parte in cui introduce, sempre nel corpo dell’articolo 36 del Testo unico, un nuovo comma (5 ter) che disciplina le condizioni di utilizzo del principale strumento di lavoro flessibile nella pubblica amministrazione, il contratto a termine. La norma precisa, innanzitutto, che la disciplina comune del contratto a tempo determinato si applica anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, compreso il settore sanitario, ma con un’eccezione importante: il datore di lavoro pubblico, infatti, non può avvalersi della facoltà di non indicare la causale, introdotta dalla legge Fornero dello scorso anno (legge n 92/2012) e rafforzata dal decreto legge n. 76/2013.
La norma ribadisce poi che il contratto a termine, come gli altri rapporti flessibili, è utilizzabile solo per esigenze temporanee ed eccezionali. Il richiamo all’eccezionalità manca nella disciplina comune, con la conseguenza che i casi di utilizzo del contratto dovrebbero, per la Pa, essere molto ridotti rispetto a quelli previsti per i datori di lavoro privati. Infine, il nuovo comma 5 ter conferma una regola generale valida per il lavoro pubblico, cioè il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato.
Solo per concorso
Tale regola è conseguenza naturale del principio costituzionale in virtù del quale si accede al pubblico impiego solo per concorso. Ne deriva, come già accadeva prima del decreto, che i contratti a termine stipulati in violazione della legge danno luogo al diritto del lavoratore ad ottenere un risarcimento del danno, senza l’assunzione. Il decreto conferma, inoltre, il principio per cui i contratti a termine (ed anche quelli di consulenza) stipulati illegittimamente sono nulli, e danno luogo alla responsabilità erariale dei dirigenti che li stipulano (questi perdono anche la retribuzione di risultato).
Infine, il decreto include i contratti a termine stipulati con il personale educativo e scolastico che lavora alle dipendenze degli asili nidi, delle scuole dell’infanzia e degli enti gestiti dai Comuni, tra le fattispecie alle quali non si applicano i limiti di durata massima (36 mesi) previsti in generale dal Dlgs n. 368/2001; in questa categoria già rientravano i contatti stipulati con il personale docente e ausiliario della scuola.
Il Sole 24 Ore – 28 agosto 2013