Tasso di disoccupazione in crescita dall’8,4% al 12% nel 2014, ricavi dell’industria manifatturiera in calo di 37 miliardi, pressione fiscale avviata a superare il record storico del 45,3%.
Sono solo alcuni numeri, gocce nell’oceano, che consentono di fotografare una vera emergenza alla quale sarà necessario rispondere con scelte rapide e nette a sostegno della crescita. Ecco perché, alla vigilia di un risultato elettorale che determinerà la costituzione di un governo chiamato a decisioni coraggiose e incisive fin da subito, nei primi mesi di attività, Il Sole 24 Ore propone un atlante ragionato delle priorità che non potranno essere tralasciate. Il nuovo esecutivo sarà chiamato subito a una «due diligence» sui conti pubblici, primo passo verso l’aggiornamento del quadro macroeconomico che dovrà tenere conto di una stima del Pil da rivedere probabilmente al ribasso per il 2013, da -0,2 a -1%. Il peggioramento del dato è contenuto nelle valutazioni della Commissione Ue che al tempo stesso ha aperto però all’uscita dell’Italia dalla procedura di deficit eccessivo, escludendo di fatto la necessità di ulteriori manovre di aggiustamento per quest’anno. Sarà necessario mantenere la barra dritta nel consolidamento di bilancio e nell’attuazione delle riforme, bisognerà dare continuità e solidità alla spending review – con una “fase tre” che potrebbe valere almeno 12 miliardi – ma all’interno di questo perimetro si potrà iniziare a impostare una strategia funzionale a riagganciare la crescita. Per questo, esaminate con il massimo di prudenza le audaci promesse elettorali in tema di riduzione delle tasse, va alimentata la convinzione che un nuovo percorso di sviluppo nel corso della legislatura passi per un alleggerimento del carico fiscale sulle imprese, gravato da un «cuneo» arrivato al 53,5% contro una media europea del 41,5%. L’eliminazione progressiva dell’Irap che grava sull’occupazione e il taglio dell’aliquota Ires sarebbero armi in più nell’arsenale con il quale innescare nuovo lavoro, emergenza numero uno dopo gli ultimi dati certificati anche da Bruxelles. Dal 2007 l’occupazione ha perso 1,5 milioni di unità e la disoccupazione è raddoppiata. Eppure da sola la leva del fisco non basterà, perché ad avere un ruolo chiave saranno anche le regole, da rivedere secondo un più sapiente equilibrio tra flessibilità in entrata e in uscita. Il tavolo di discussione sarà giocoforza la riforma Fornero, su aspetti che alla prova dei fatti hanno prodotto un’ingessatura del sistema, a partire dai vincoli su contratti a progetto, partite Iva e contratti a termine e dalle rigidità sull’apprendistato e sul meccanismo dei voucher. Quello che verrà dovrà essere in ogni senso il governo della crescita. Nel rispetto del fiscal compact, avrà il compito di creare nuovi posti di lavoro, riaccendere la fiammella degli investimenti e dei consumi quasi spenta dalla gelata dell’austerity, liberare risorse per il credito e dare risposte credibili ai fornitori della Pa che vantano crediti stimati da Banca d’Italia e Ragioneria dello Stato in almeno 70 miliardi di euro. Confindustria ha proposto una terapia d’urto da 316 miliardi di risorse pubbliche, adeguatamente coperte, per una crescita di almeno il 2% all’anno che abbia l’industria come motore propulsore. È la stessa Commissione europea del resto ad aver alzato l’asticella della manifattura al 20% del Pil, un obiettivo che per l’Italia, dopo un quarto di produzione industriale ceduta in quattro anni, significa un totale ribaltamento di priorità. Di qui l’esigenza ineludibile di un piano serio di politica industriale, che da un lato valorizzi l’innovazione tecnologica premiando fiscalmente gli investimenti e dall’altro sgravi le imprese da un macigno burocratico che impatta sulla crescita per 73 miliardi di euro. I dati sulla spesa italiana in ricerca, 1,26% rispetto all’1,9% medio della Ue, sono un duro monito per un Paese che deve sapere eccellere anche nel differenziale tecnologico di produzioni tradizionali come quelle del made in Italy e che non può permettersi ulteriori indugi sull’introduzione di un credito di imposta strutturale che, con un impegno da 700 milioni nel primo anno, potrebbe già garantire investimenti da parte di 10mila imprese. Molto altro, ovviamente, dovrà supportare il rilancio dell’industria, da un piano dettagliato per la bonifica dei siti industriali e la riqualificazione delle aree di crisi a un impegno più coraggioso nel sostegno alle piccole e medie imprese che rischiano la strada dell’internazionalizzazione. Sul fronte delle semplificazioni, l’elenco delle priorità rischia di essere sterminato. Per iniziare, basterebbe però recuperare quanto già era stato elaborato nel disegno di legge del ministro Patroni Griffi e nel ddl delega fiscale, entrambi smarriti nelle nebbie di fine legislatura. Gli alleggerimenti normativi in tema di sicurezza del lavoro, edilizia ed obblighi relativi al Durc (documento unico di regolarità contributiva) potrebbero subito ottenere la corsia preferenziale del decreto legge. Pari coraggio richiederanno le scelte sulle infrastrutture, per liberare la leva delle risorse private mediante benefici fiscali allargati alle opere medio-piccole, e sul Mezzogiorno, negli ultimi anni colpevolmente uscito dal monitor delle priorità. Ancora una volta per il rilancio del Sud c’è a disposizione la chance dei fondi europei. Le elezioni e il cambio della guardia a Palazzo Chigi non saranno un alibi credibile per chi dovesse mancare l’obiettivo imposto da Bruxelles di spendere 31 miliardi della programmazione 2007-2013 entro il 2015 e soprattutto di mettere a frutto i 59 miliardi (tra risorse Ue e cofinanziamento) che dovremo gestire tra il 2014 e il 2020.
Il Sole 24 Ore – 25 febbraio 2013