La Corte dei conti ha chiesto 170 mila euro per la retribuzione esorbitante concessa al direttore dell’Asp. Per i giudici si è trattato di una condotta “gravemente colposa”. Nel 2006 a Claudio Clini venne accordato un contratto da 193mila euro
Contratto fuori dai parametri stabiliti dalla legge. E quello che il senatore del Pd Lucio D’Ubaldo, al tempo presidente di Lazio sanità, ha siglato nell’aprile 2006 per Claudio Clini, appena nominato direttore generale dell’Agenzia pubblica della Regione. Una firma da 193mila euro all’anno, più un premio pari al 20% dello stipendio. Cifre e addizioni che sono costate a D’Ubaldo, oggi vicepresidente della Commissione parlamentare di vigilanza sull’Anagrafe tributaria, una condanna “salata” da parte della sezione giurisdizionale della Corte dei conti del Lazio. Il senatore dovrà restituire all’Asp 170 mila euro. A far emergere la condotta dell’ex presidente, che i giudici non esistano a definire «gravemente colposa», sono state le verifiche amministrative realizzate dal ministero dell’Economia nel corso del 2008. Controlli effettuati per trovare una soluzione alla delicata questione del debito della sanità laziale e che, invece, hanno finito per portare alla luce uno dei tanti casi di cattiva gestione. Come spiega la Corte dei conti, infatti, il contratto del direttore Clini conteneva una «palese violazione della disciplina in materia».In particolar modo, nel mirino sono finiti i premi di fine anno previsti dall’accordo, poi risolto nel settembre 2009, a un mese dal commissariamento della sanità laziale. «Tale emolumento aggiuntivo – si legge nella sentenza — non è stato riconosciuto a nessun direttore generale in attuazione del piano di rientro del debito in materia sanitaria», come evidenziato anche nell’atto di citazione nei confronti di D’Ubaldo. Secondo la legge, Clini avrebbe dovuto ricevere un trattamento economico pari a quello di un dirigente sanitario: 155mila euro non 193mila, pari a una differenza di 38mila euro l’anno, premi esclusi. Così, afronte di un comportamento segnato da «negligenza e superficialità», D’Ubaldo è stato condannato a risarcire personalmente la quasi totalità di quanto incassato illecitamente dal dirigente che aveva nominato. La cifra, infatti, è stata decurtata del 30 per cento: i giudici non hanno potuto ignorare l’imperizia dell’apparato amministrativo di Lazio sanità, colpevole di non aver fornito il giusto supporto all’attività contrattuale del direttore generale. Ma il senatore Pd si difende: «Ho agito in assoluta buona fede e onorando le procedure di legge. II rapporto di lavoro del direttore generale era passato al vaglio di tutti gli uffici dell’Asp e della Regione. Se era davvero fuori norma, perché nessuno me l’ha detto? E per quale ragione, fatte le verifiche amministrative, avrei dovuto negare la firma sul contratto? In ogni caso, la Corte dei Conti ha escluso il dolo. La mia onestà è fuori discussione».
Repubblica – 25 giugno 2012