Ormai è guerra. Duello tra maschi alfa. Sfida dalle tinte shakespeariane che per i contendenti, Matteo Salvini e Flavio Tosi, va ben al di là delle elezioni regionali in Veneto, che pure sono lo scenario dello scontro. C’era una volta, infatti, il conflitto tra il governatore leghista Luca Zaia e lo stesso Tosi, sindaco di Verona nonché segretario della Liga veneta.
Ora, il confronto è tra Tosi e Salvini. Per il leader leghista, l’esito della battaglia significa lo sgombero del campo da ogni altra leadership, il regno senza ombre nella sua post-Lega. Per Tosi, peggio ancora: è battaglia per la vita. O, almeno, per il futuro politico.
L’ora decisiva dovrebbe scattare lunedì. Salvini ieri ha confermato il faccia a faccia che avverrà tra lui, Tosi e Zaia con toni (fino a un certo punto) ecumenici: «Incontro tutti e due immaginando di superare i problemi. Perché io non litigo mai con nessuno, ho tanta pazienza. Ogni tanto sento qualche sciocchezza ma tiro avanti». Quali sciocchezze? «Chiunque metta in discussione Zaia fa il male dei veneti, non mio». Il riferimento è alla possibilità che Tosi presenti una lista a proprio nome contro Zaia. L’interessato, l’altra sera a Lecce, non ha escluso: «Non lo so — ha detto Tosi — che cosa accadrà adesso in Veneto. Dovremo parlare. Certo è che bisogna ricostruire un rapporto fiduciario». Salvini pare essere pacificatorio: «L’accordo tra buoni fratelli veneti lo faranno, io farò da mediatore». Con un avviso: «Basta che poi da martedì si parli di altro».
Tosi sta preparando il faccia a faccia in modo assai concreto. Ha convocato per sabato una segreteria nazionale (che nella Lega significa regionale) per far ribadire da tutto l’organismo — da lui saldamente controllato — l’aspirazione del Veneto alla sua autonomia. Le scelte del Veneto non possono essere fatte a Milano. Per usare l’espressione di un amico di Tosi, «il segretario del Veneto non può essere il cappello sulla seggiola del segretario federale». E così, il sindaco di Verona si presenterà all’appuntamento con mandato che più formale non si può.
Il fatto è che dal punto di vista di Tosi, gli schiaffi sono stati troppi. Nel 2010 avrebbe dovuto correre per la presidenza del Veneto, Bossi gli preferì il più disciplinato Zaia. Avrebbe dovuto essere il candidato offerto dalla Lega alle primarie del centrodestra, e ora Salvini è indiscutibilmente nella parte. Avrebbe voluto presentare una propria lista a sostegno di Zaia (magari anche per condizionarne in futuro le scelte) e invece gli è stato risposto picche. Ha sostenuto la corsa solitaria della Lega senza Forza Italia? Salvini, un paio di giorni dopo, ha annunciato la «riapertura del dialogo» con Silvio Berlusconi. Per concludere, «Milano» ha deciso che nessun leghista potrà essere candidato dopo il secondo mandato. In realtà, che sia stato deciso non è ancora detto. Il congresso «tecnico» per adeguare lo statuto della Lega a queste novità, ancora non è stato convocato. Il segretario leghista l’altro giorno faceva spallucce: «Per me, si può anche non farlo». Ma la sfida continua. E Flavio Tosi non ha alcuna intenzione di rassegnarsi alla marginalità
Intanto, nella Regione politicamente «sorella», la Lombardia di Roberto Maroni, sorpresa. Al referendum sulle «forme di autonomia» che i lombardi dovrebbero chiedere a Roma, potrebbe arrivare il supporto stellato. Per far svolgere la consultazione (budget previsto, 30 milioni di euro) servono infatti i due terzi dei consiglieri regionali. È quanto ha preventivamente sostenuto il segretario del Pd lombardo Alessandro Alfieri: «Il M5S si prepara a fare da stampella alla giunta Maroni».
Marco Cremonesi- 13 febbraio 2015