Soltanto 509 mila nascite nel 2014, cinquemila in meno dell’anno precedente e record negativo assoluto da un secolo e mezzo. Nei dati dell’Istat un Paese in declino
Chiara Saraceno. In Italia si vive più a lungo, ma le nascite continuano a scarseggiare (cinquemila in meno solo nell’ultimo anno, dice l’Istat). Di conseguenza, la popolazione complessiva si riduce, oltre ad essere sempre più vecchia. Il saldo tra nascite e morti, negativo ormai dal 2007, ha conosciuto una fortissima accentuazione negli ultimi anni. Era di settemila unità nel 2007, oltre 12 volte maggiore nel 2014, quando ha toccato quota 87 mila. Ciò non vuol dire che si muore di più. Al contrario, sono diminuite anche le morti e continuano a migliorare le speranze di vita alla nascita, anche con una riduzione del gap a sfavore degli uomini, ora di 4,7 anni rispetto ai 5,3 del 2007.
Quelli che mancano all’appello sono i nuovi nati. La piccolissima ripresa delle nascite che aveva segnato il periodo 2004-2010, portando il numero medio di figli da 1,34 a 1,46, si è non solo interrotta, ma ha cambiato segno, tornando al declinare fino a scendere a 1,39 nel 2014. In alcune regioni meridionali (Basilicata, Molise, Sardegna), un tempo tra le più prolifiche, da anni non si raggiungono neppure 1,2 figli per donna ed il Mezzogiorno in generale presenta tassi di fecondità più bassi di quasi tutte le regioni centro-settentrionali. È il quadro che emerge dal rapporto sugli indicatori demografici per il 2014 presentato ieri dall’Istat.
La crisi economica, l’incertezza occupazionale sperimentata da molti giovani, la mancanza di reti di protezione adeguate e di servizi di conciliazione famiglialavoro, fa posticipare uscite dalla famiglia di origine, inizio di una vita di coppia, scelte riproduttive, accentuando le differenze storiche tra giovani italiani ed europei. Gli uomini e le donne italiane sono tra i più tardivi in Europa a diventare genitori e, quando lo diventano, più dei loro coetanei in altri Paesi dipendono dall’aiuto dei propri genitori sia per accedere ad una abitazione, sia per accudire i figli. A loro volta, le persone anziane parzialmente o totalmente non autosufficienti sono più che in altri Paesi dipendenti dalla disponibilità dei famigliari, oltre che dalle proprie personali risorse economiche, per far fronte ai propri bisogni. Il sovraccarico di responsabilità che continua ad essere assegnato alle famiglie, unitamente alla mancanza di sicurezze ragionevoli sul piano economico, non aiuta a decidere di avere un figlio, tanto meno di averne uno in più dopo il primo. Temo che non basterà il neo bonus bebé a modificare questa situazione.
La riduzione e l’invecchiamento della popolazione sono sempre meno contrastati dall’apporto della popolazione straniera, nonostante questa sia più giovane e un po’ più prolifica di quella italiana. Si sta, infatti, riducendo anche il tasso di fecondità delle donne straniere, che per la prima volta nel 2014 è sceso sotto i due figli, attestandosi a 1,97. Ciò non è imputabile esclusivamente alla crisi economica, bensì anche al processo di integrazione culturale e comportamentale ai modelli di famiglia prevalenti in Italia. Ci sono molti segnali, tuttavia, che indicano che l’Italia sta diventando sempre meno attrattiva anche per gli immigrati che vogliono progettare un futuro individuale e famigliare. Non solo la fecondità degli stranieri residenti continua a scendere; anche il saldo migratorio si è fortemente ridotto negli ultimi anni e soprattutto nel 2014, nonostante le cifre drammatiche dei salvataggi in mare riusciti e di quelli non riusciti (o non effettuati) evochino a torto le immagini di una invasione senza controllo.
La progressiva riduzione della popolazione italiana e il suo invecchiamento potrebbero non essere, in sé, una cattiva notizia, se il Paese fosse attrezzato a fronteggiare questo cambiamento e i problemi che porrà nel futuro prossimo: investendo nelle giovani generazioni che, proprio perché di dimensioni contenute, saranno sempre più una risorsa da non sprecare; investendo nelle donne giovani e meno giovani, perché possano conciliare una sempre più necessaria (soprattutto per il bilancio pubblico) partecipazione al mercato del lavoro con il desiderio di maternità; investendo nel ben-essere degli anziani, perché stiano bene il più a lungo possibile senza gravare eccessivamente sul bilancio sanitario; favorendo l’integrazione degli immigrati e la valorizzazione delle loro competenze. Purtroppo, i segnali in queste direzioni sono, nel migliore dei casi, contradditori, nel peggiore assenti
Repubblica – 13 febbraio 2015