Nel momento più difficile per la sanità padovana, tormentata dalla storia infinita del nuovo ospedale, preoccupata per lo sdoppiamento dell’Istituto oncologico veneto a Castelfranco e arrabbiata per le voci di «trasferimento» all’Azienda ospedaliera della proprietà del Sant’Antonio, il gioiello dell’Usl 16, il sistema perde un pezzo delle sua fondamenta.
Claudio Dario, nominato dal governatore Luca Zaia direttore generale proprio dell’Usl 16, la più grande del Veneto, e commissario delle Usl 15 di Cittadella e 17 di Este appena lo scorso 30 dicembre, se ne va. Fa un passo indietro e torna a vestire il camice di direttore sanitario — ruolo ricoperto nel 2002 sempre all’Usl 16 e prima a Treviso —, ma a Trento. Ieri Paolo Bordon, nuovo dg dell’Azienda sanitaria trentina, come primo atto del suo mandato gli ha conferito l’incarico. «Dario, uno dei migliori professionisti nel panorama sanitario italiano, è stato scelto in virtù delle competenze organizzative e gestionali maturate — spiega Bordon —. E relative, in particolare, all’integrazione tra ospedale e territorio e all’informatizzazione dei sistemi sanitari».
Il mandato durerà 5 anni. «La nostra è la migliore azienda d’Italia — spiega Ugo Rossi, presidente della Provincia di Trento — e il Veneto è un’altra eccellenza, quindi è normale lo scambio delle buone pratiche, anche in una logica di valorizzazione delle professionalità. Luciano Flor è trentino, era il nostro direttore generale e a dicembre è passato all’Azienda ospedaliera di Padova (nonostante il rinnovo quinquennale a Trento, ndr). Per Dario l’autonomia di cui godiamo è un’ulteriore garanzia e poi dobbiamo realizzare il nuovo ospedale».
Il manager trevigiano, medico specializzato in Cardiologia e in Igiene e Medicina preventiva, dopo l’addio forzato all’Azienda ospedaliera di Padova aveva sostenuto concorsi in diverse regioni, risultando idoneo come dg in Campania, Emilia, Piemonte e Friuli. «Ho accettato con entusiasmo un’offerta che mi permette di avviare una nuova fase della mia carriera e di tornare a una dimensione da cui mi sono allontanato oltre 14 anni fa, per iniziare da Treviso l’avventura di dg — rivela Dario —. Mi è stato proposto un progetto stimolante, che condivido e mi appassiona, in un contesto che, per il coinvolgimento dell’Università e della Fondazione Bruno Kessler, sviluppa l’integrazione tra tecnologie e approccio umanistico, da me sempre perseguita. E’ una scelta personale e professionale. I collaboratori che ho scelto alle direzioni delle tre Usl sono una garanzia per la gestione della fase di transizione e per la riorganizzazione della sanità padovana». Dario è il nono dirigente che lascia il Veneto. «Nelle migliori organizzazioni sanitarie, come la nostra, la mobilità dei manager è un fatto positivo — dice Zaia —. Dario mi ha informato subito della nuova sfida e che per noi è motivo di orgoglio, perché si è formato nella squadra dei bravi dg che hanno contribuito al successo del modello veneto. Dando un contributo straordinario nel raggiungimento della leadership nazionale in materia di informatizzazione della sanità».
Ma allora perchè il veterano dei dg (quattro mandati consecutivi), nonchè da sempre «uomo di Zaia», se ne va all’inizio della riforma della sanità veneta? Per motivi economici? Qui prende 123mila euro lordi l’anno e a Trento 156.800 più il premio di produzione. No, gli addetti ai lavori parlano di ben altro. E’ nota la sua delusione per la mancata riconferma alla guida dell’Azienda ospedaliera di Padova e relativo abbandono del progetto della cittadella sanitaria del futuro (la cui falsa partenza è stato motivo di grande attrito con la Regione). Lui stesso non l’ha nascosta il 30 dicembre, quando Zaia a Venezia ha presentato i nuovi manager. Oltretutto 10 minuti prima il governatore avrebbe mischiato ancora le carte, scambiando Dario, che aveva chiesto almeno di tornare a Treviso e completare il progetto del nuovo ospedale da lui iniziato, con Francesco Benazzi, destinato a Padova. Decisione però non condivisa dal potente segretario della Sanità, Domenico Mantoan, con il quale Dario sembra aver rotto i rapporti. E che ora pare destinato a sostituirlo, in veste di commissario, per sei mesi, fino all’approvazione dell’Azienda Zero e alla riduzione delle Usl da 21 a 9. L’altra opzione è nominare subito il successore: «Ho le idee molto chiare», assicura Zaia. Il totonomi? Giuseppe Dal Ben, ora a Venezia e fedelissimo del presidente, Daniela Carraro, direttore amministrativo all’Usl 16, e Gian Antonio Dei Tos, ex dg dell’Usl 7 che il governatore ha ammesso di aver dovuto sacrificare con dispiacere.
Tra i medici sale la tensione. In ospedale assemblea rovente. Confronto con Boron (Regione). Che dice: «Pediatria non si sposta»
Le dimissioni di Claudio Dario («una persona con la sua dignità e professionalità non poteva più far finta di nulla di fronte all’estromissione dell’Usl 16 dalle scelte strategiche», nota l’ex vicesindaco Ivo Rossi; «altra brutta tegola per la sanità padovana: a chi fa comodo il suo smantellamento?», si chiede il consigliere regionale del Pd Claudio Sinigaglia) hanno fatto lievitare la tensione dei medici del Sant’Antonio. Dopo fiumi di chiacchiere prima sul probabile assorbimento del gioiello dell’Usl 16 nell’Azienda ospedaliera (peraltro previsto nel progetto della nuova cittadella della salute firmato dalla Scuola di Medicina) e poi su un ipotetico trasferimento in loco della Pediatria, i camici bianchi hanno preteso un chiarimento ufficiale da parte della Regione. E così ieri la Cimo, sindacato degli ospedalieri, ha organizzato un incontro con Fabrizio Boron, presidente della commissione Sanità.
«Siamo molto preoccupati — ha avvertito il dottor Eugenio Castagnaro, primario della Lungodegenza — e ancora di più adesso che il direttore generale se ne va. L’errore fondamentale è stato parlare dell’accorpamento del Sant’Antonio con l’Azienda ospedaliera, che ha detto subito: è nostro e ne facciamo quello che vogliamo. Si parla di eliminare i doppioni e piazzare alcuni reparti a Piove di Sacco. Il capogruppo regionale di Fi, Massimiliano Barison, ha perfino annunciato che entro l’anno diventerà l’ospedale della mamma e e del bambino. E chi va contro il polo materno-infantile? Ma a noi non è arrivata alcuna comunicazione ufficiale — ha incalzato il camice bianco — la Regione non smentisce, il sindaco Massimo Bitonci non dice: questo è l’ospedale della città e deve restare così com’è. Siamo pessimisti». «La nostra voce non l’ha mai voluta sentire nessuno», ha aggiunto Franca De Lazzari, primario della Gastroenterologia.
«La programmazione sanitaria è in capo alla Regione e il piano di riforma non modifica il sistema sul territorio — ha scandito Boron — gli ospedali che ci sono restano. Così come rimane dov’è la Clinica pediatrica, cioè in Azienda ospedaliera. Chi parla in maniera scomposta e a vanvera della realtà padovana o non ne sa niente oppure vuole creare confusione per indebolire il sistema. Ma chi ci prova dovrà vedersela con la Regione, il sindaco e l’Università. Per troppo tempo Padova ha avuto poco o niente, è ora che ottenga almeno il nuovo ospedale, l’hanno avuto tutti. La Pediatria andrà lì». In linea il rettore Rosario Rizzuto: «La priorità è dare rapidamente contenuti e operatività al progetto del nuovo ospedale. Un minuto dopo troveremo le soluzioni per affrontare le criticità nel periodo che ci separa dalla sua realizzazione. Dario? Una sorpresa, il Veneto perde un professionista di grande competenza, lealtà e visione strategica, con cui ero in sintonia».
L’impressione diffusa è che la sanità padovana sia rimasta senza copertura politica dopo il ritiro di Leonardo Padrin a vita privata e sia finita ultima, con Verona e Treviso, patrie rispettivamente del sindaco Flavio Tosi e del governatore Luca Zaia, in pole position. «Non si possono però minare le eccellenze — ha avvertito Benito Ferraro, portavoce della Cimo — e il Sant’Antonio è una di queste. Ci sono voluti 20 anni per ricavarlo dal vecchio Cto e oggi opera in un’ottica di continuità assistenziale con il territorio. Le sue specialità non sono doppioni e trasformarlo in un centro materno-infantile è una previsione ottimistica e teorica. Sottrarre ai pazienti un riferimento per i bisogni più immediati di salute significa costringere gli anziani e i soggetti più fragili a curarsi un po’ qua e un po’ là».
Michela Nicolussi Moro – Il Corriere del Veneto – 19 maggio 2016