«È tutto sotto controllo e non c’è alcun allarme». Dopo l’allarme iniziale sembra calare la tensione attorno al caso dello straniero di Quinto al quale è stata diagnosticata la lebbra. A ribadirlo ieri mattina sono stati sia il presidente della Regione Luca Zaia sia il direttore generale dell’Usl 9 Giorgio Roberti.
A metà luglio un cittadino bengalese di 37 anni, in Italia da 8 anni e residente a Quinto, si era recato al Ca’ Foncello: presentava dei rigonfiamenti alle braccia e alle gambe, lesioni cutanee, ed accusava una forte perdita della sensibilità. I medici, dopo averlo trattenuto in area medica, hanno proceduto con la biopsia che ha rilevato la presenza del batterio della lebbra, chiamato in medicina morbo di Hansen, sui tessuti del paziente. «È stato subito sottoposto alla terapia, che prevede la somministrazione di tre diversi farmaci – ha spiegato il direttore sanitario Michele Tessarin – ed è stato attivato il dipartimento di prevenzione che ha contattato i familiari».
Al 37enne, trattenuto in isolamento nel reparto di cardiologia, sono stati somministrati tre farmaci, usati normalmente per curare la tubercolosi e le infezioni cutanee. I familiari invece – la moglie, il fratello, la cognata e i due figli – sono stati sottoposti ad ulteriori accertamenti. «Si tratta di una malattia a bassissima contagiosità che richiede anche 7 o 8 anni di incubazione prima di manifestarsi – ha precisato Pier Giorgio Scotton, primario del reparto di malattie infettive -. Normalmente il germe penetra nella pelle e viene distrutto dai globuli bianchi. Sicuramente la malattia è stata contratta nel suo paese d’origine: non esistono casi di contagi secondari, ovvero di pazienti che si ammalano senza aver abitato per lunghi periodi nelle zone in cui questo germe è ancora presente».
In Italia la lebbra è stata praticamente debellata dagli anni Ottanta ed ogni anno si registra circa una decina di nuovi casi. Quanto all’Ebola, di cui si sta parlando molto in questi giorni, il direttore del servizio di prevenzione Giovanni Gallo ha spiegato che si tratta di un fenomeno «concentrato in alcune zone rurali dell’Africa, il cui decorso letale è molto rapido e dunque incompatibile con la lunghezza di un viaggio per raggiungere l’Europa di una persona contagiata». «Ciò nonostante – ha detto il presidente Zaia – dobbiamo prendere realisticamente atto della possibilità, non escludibile a priori, che alcune malattie da tempo debellate possano riprendere vigore anche da noi e la salvaguardia della salute dei cittadini veneti è un mio obbligo costituzionale, anche in considerazione dell’emergenza profughi. I 5 siti ipotizzati in Veneto per la loro accoglienza sono stati bocciati dalla nostra task force: sono delle discariche a cielo aperto e non vogliamo che si riaprano i lebbrosari».
Corriere del Veneto – 8 agosto 2014