Questa settimana incontri tecnici bilaterali fra il Mef e gli altri ministeri per definire i tagli alla spesa. Attorno ai 15 miliardi. A tanto, alla fine, dovrebbe ammontare la manovra che sarà messa in moto con la prossima legge di stabilità. Che, considerando anche la minor spesa per interessi sul debito, la maggiore Iva dai pagamenti arretrati della Pa e il recupero dalla lotta all’evasione fiscale, dovrebbe avere una portata complessiva di una ventina di miliardi.
Con cui il Governo conta di mantenere tutti gli impegni presi (come il bonus Irpef permanente, il nuovo taglio dell’Irap e la dote per gli ammortizzatori) e far fronte alle cosiddette spese “indifferibili”, ad esempio il rifinanziamento delle missioni internazionali di pace. Al momento, in attesa che il 1?ottobre venga ridefinito il quadro macroeconomico con la nota di aggiornamento del Def, il termometro dell’intervento sui conti oscilla tra i 13 e i 16 miliardi. Gran parte del quale dovrà essere garantito dalla fase 2 della spending review che non potrà essere inferiore ai 12-13 miliardi, non meno di un terzo dei quali è atteso dalla riduzione delle spese su cui hanno voce in capitolo (diretta o indiretta) i singoli ministeri.
Proprio sull’attuazione della regola del 3% (seppure con flessibilità) proposta dal premier Matteo Renzi per costringere i singoli dicasteri a dare il loro diretto contributo alla nuova fase di spending review si stanno concentrando in questa settimana gli incontri bilaterali, a livello tecnico, tra il ministero dell’Economia e le delegazioni dei vari ministeri. All’inizio della prossima settimana, dopo che il premier sarà rientrato dal suo viaggio negli Stati Uniti, Renzi farà il punto con il ministro Pier Carlo Padoan sull’operazione “tagli ai ministeri”. Solo allora si capirà quali parti del dossier spending preparato dal commissario Carlo Cottarelli dovranno essere utilizzate per completare il piano di tagli su cui poggerà la legge di stabilità che dovrebbe essere varata il 10 ottobre.
Parallelamente procede il lavoro tecnico per calibrare la contabilità di bilancio in sintonia con il piano di ottimizzazione dei fondi europei. Un’operazione che potrebbe garantire un risparmio contabile di 4-5 miliardi nel 2015, in termini di risorse momentaneamente non co-finanziate (che verrebbero poi redistribuiti sugli anni successivi) ma che si presenta anche complessa e non priva di incognite. Non semplice appare anche il lavoro per garantire le coperture necessarie per mantenere gli impegni presi dal Governo. A partire dal nuovo taglio delle tasse sul lavoro, confermato ieri dal ministro Padoan. L’esecutivo dovrà poi trovare almeno due miliardi per il riordino degli ammortizzatori sociali collegato al Jobs act e il miliardo annunciato al momento della presentazione delle linee guida della riforma della scuola, a partire dalla stabilizzazione dei 150mila precari.
Molto dipenderà dalle scelte che verranno compiute sul versante dei tagli. Allo stato attuale pare certo un intervento sulla sanità non limitato al solo nuovo giro di vite sul versante degli acquisti di beni e servizi (convenzioni Ssn comprese). Una nuova stretta si profila poi per regioni e comuni, dai quali dovrebbero arrivare almeno quattro miliardi (due terzi a carico dei Governatori e un terzo dei sindaci) anche per effetto delle nuove misure restrittive sulle forniture e sulla sanità. Per gli enti locali scatterà anche il nuovo processo di costi e fabbisogni standard a tappeto (che darà però risultati più significativi dal 2016). In cambio i i sindaci potranno incassare l’allentamento del patto di stabilità interno per la spesa relativa agli investimenti in conto capitale. Che rappresenta la prima tappa di un processo che, secondo il Governo, dovrebbe portare al completo superamento del Patto di stabilità interno. Dall’entità dell’allentamento dei vincoli sui Comuni dipende la partita sulla quantità delle risorse da destinare all’edilizia scolastica.
Sulla riduzione del costo del lavoro è in corso un acceso dibattito tra chi vuole la detassazione attraverso l’aumento delle deduzioni Irap riconosciute alle imprese sui lavoratori assunti a tempo indeterminato (misura che andrebbe anche a sostenere il Jobs act). E chi invece propone un taglio lineare delle aliquote, sulla falsariga del decreto Irpef, che non snaturerebbe l’imposta e avrebbe un costo minore.
Il Sole 24 Ore – 24 settembre 2014