Il giudice: «Queste letterine erano – se ho ben capito – delle promesse di contributi. Queste promesse di contributi venivano fatte sulla base di che criterio?». L’indagato: «In quel periodo particolare, erano decisioni che venivano prese da altri organi e trasferiti come richieste…».
È il 13 dicembre 2012 e davanti al gip di Roma c’è Luca Gaudiano, una delle undici persone (tra imprenditori, dipendenti e funzionari pubblici) arrestate nell’ambito dell’inchiesta su favori e appalti pilotati al ministero dell’Agricoltura. È nervoso e preoccupato. Su cosa fossero quelle «letterine» l’ha chiarito un altro degli indagati, Ludovico Gay, dirigente di Buonitalia, una società partecipata del ministero: «Si radunava la commissione e decideva quali erano i contributi da finanziare e poi, con una lettera, anticipava prima del decreto l’importo che poteva essere assegnato».
Ma la versione delle persone coinvolte nello scandalo, come spesso accade, davanti al giudice è molto diversa. E quella fornita da Gaudiano, funzionario del ministero dal 2006, punta molto in alto. Il giudice lo incalza, gli chiede se la scelta dei progetti presentati dagli imprenditori a cui il ministero assegnava un contributo economico fosse discrezionale. E lui risponde: «Altamente discrezionale. Richieste politiche: se voi andate a fare una mappa geografica dei contributi promessi, vedrete che c’è un epicentro a Treviso, si allarga in Veneto, prende un po’ di pianura Padana. Perchè c’erano le elezioni regionali di Zaia». In pratica – sostiene l’indagato – sulla nostra regione sarebbero piovuti finanziamenti per favorire la campagna elettorale del governatore.
A scrivere queste «letterine» nelle quali – stando all’accusa – si annunciava agli imprenditori l’assegnazione dei contributi prima ancora che l’apposita commissione l’avesse sancita, era Ludovico Gay. Ma il dirigente, interrogato il 14 dicembre (ventiquattr’ore dopo Gaudiano), dà una versione completamente diversa. Sostiene che la scelta avveniva non per pressioni politiche ma «in base alla validità del progetto, in base alla sua importanza» anche se, ammette, «criteri rigidi no, non c’erano criteri…». Giura di aver comunicato per lettera l’erogazione del contributo solo dopo che essa era stata approvata dall’apposita commissione. Tranne in un caso: «La commissione si è riunita e non ha redatto il verbale, parallelamente io ho inviato delle letterine pensando che il verbale sarebbe stato redatto…». Un’eccezione, insomma.
Eppure anche un altro degli arrestati fa riferimento a quello che i pm di Roma chiamano «il sistema delle letterine». È Michele Mariani, un altro degli arrestati, che per molto tempo ha lavorato al ministero. Il 14 dicembre al giudice dice che «Zaia, prima di andare via, si è affrettato a fare le comunicazioni dell’avvenuta concessione del contributo». Le letterine partirono ad aprile – spiega – perché «c’era la campagna elettorale di Zaia».
Versioni opposte di persone che – è bene ricordarlo – si sarebbero macchiate di reati che vanno dalla corruzione alla turbativa d’asta e che chiamano in causa il presidente del Veneto che non è neppure indagato. Luca Zaia (ex ministro dell’Agricoltura dal 2008 al 2010) bolla il tutto come fantasie e dice di non voler neppure commentare le testimonianze degli indagati.
Corriere del Veneto – 7 gennaio 2012