Tumori allo stomaco e al rene, linfomi di Hodgkin, leucemie. Sono migliaia le cartelle cliniche sequestrate dal Noe, nucleo operativo ecologico, dei Carabinieri negli ospedali lucani per accertare se quei fanghi tossici pericolosi, smaltiti come semplici rifiuti, e finiti nelle falde acquifere della Basilicata siano all’origine di patologie gravissime e di morti.
Cosa che cittadini e associazioni denunciano invano da anni. Il filone più spaventoso dell’indagine della procura di Potenza sul petrolio è quello che ipotizza la possibilità che, per risparmiare sui costi dello smaltimento al Centro Oli dell’Eni di Viggiano, ma non solo, si sia prodotto un disastro ambientale. Approfittando dei controlli affidati per molti aspetti agli stessi inquinatori. Con la complicità di istituzioni preposte alla salute pubblica.
Ieri a Potenza si è svolto l’interrogatorio di garanzia dei quattro dirigenti dell’Eni (Roberta Angelini, Nicola Allegro, Antonio Cirelli e Luca Bagatti) ai domiciliari da giovedì scorso. E del quinto, Vincenzo Lisandrelli, che è stato interrogato per delega a Gela. Gli stessi che nelle intercettazioni, a vario titolo, operano per manipolare i codici dei rifiuti e dare il via alla catena tossica, nascondono gli allarmi ricevuti dalla control room e le emissioni tossiche dei camini.
L’Eni smentisce. «Non siamo avvelenatori», dichiara l’ad Claudio Descalzi che chiederà il dissequestro dell’impianto di Viggiano. «Su ambiente e acque siamo tranquilli» assicura. Ma negli ultimi dieci mesi gli sono state notificate tre sanzioni proprio per il superamento delle concentrazioni delle soglie di contaminazione (Csc). L’ufficio ambiente della provincia di Potenza ha contestato all’Eni la violazione dell’articolo 304 del decreto legislativo 152/2006, testo unico ambientale. Altre due, analoghe, sono state comminate alla Total, nel sito di Tempa Rossa, ancor prima di iniziare l’estrazione, nella fase di costruzione del centro oli, per avere inquinato le acque sotterranee.
Nel caso più eclatante, un pozzo petrolifero Eni, Cerro Falcone 7, nel Comune di Marsicovetere, la comunicazione dello sforamento dei limiti consentiti di berillio, stagno e cobalto, imposta per legge entro 24 ore, assieme all’immediato ripristino ambientale, è stata fatta invece dopo 1.721 giorni. La difesa? La presenza di veleni è «ascrivibile unicamente al fondo naturale del sito». Mentre negli altri casi sanzionati, Eni e Total affermano che non sono stati loro a inquinare. Eppure, ad esempio, all’impianto Cova di Viggiano, si legge nel verbale del 29 marzo del 2016, il superamento della soglia di contaminazione di alcune sostanze nei terreni e nelle acque sotterranee è stato accertato nell’area di 13,8 chilometri quadrati intorno all’impianto. Qui la sanzione comminata all’Eni è stata di 541 mila euro, perché 541 giorni di ritardo della comunicazione alla provincia, alla prefettura e ai Comuni interessati. La giustificazione non è ancora arrivata: c’è tempo 60 giorni per pagare in maniera ridotta. Ma in tutti gli altri casi si è arrivati all’ingiunzione del Tribunale .
Virginia Piccolillo – Il Corriere della Sera – 6 aprile 2016