«Abbiamo sempre dichiarato che le nuove regole del Jobs Act non si applica al pubblico impiego, ma solo ai lavoratori privati». Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, non si stupisce della sentenza della Cassazione sui lavoratori del pubblico impiego, soggetti all’articolo 18 in fatto di licenziamenti e davanti alla platea di Repubblica delle Idee, intervistato da Eugenio Occorsio, rilancia la volontà del governo di migliorare sulle politiche del lavoro E’ vero però che il governo aveva promesso una nuova norma nella Riforma della pubblica amministrazione che è ancora in lavorazione. Lei pensa che verrà cambiato questo punto?
«Se sia necessaria una norma non so. Per quello che ho capito l’intenzione del ministro Madia è che l’art.18 rimanga per il lavoro pubblico, anche perché a questo lavoro si accede per concorso pubblico e quindi la situazione è diversa. Non è un rapporto di natura privata. E non sono io a dover rispondere».
L’occupazione, secondo l’Istat, continua a crescere, anche se lentamente. Rimane il gap giovanile. Come si affronta?
«Con le politiche attive del lavoro, che stiamo mettendo in campo. Non con le leggi, che non creano lavoro. Trasformando i centri per l’impiego da anagrafe dei disoccupati, come sono stati negli ultimi vent’anni, a luoghi attivi, come sta accadendo con il programma Garanzia giovani al quale si sono iscritti ben 1 milione di Neet. Ora il passo successivo è farli dialogare con le aziende, e questo è ciò che stiamo facendo. Con Google, Eni a altri colossi abbiamo stipulato accordi. Bisogna cercarne altri, ma va cambiata anche la mentalità degli italiani che devono capire che senza le nuove tecnologie non si crea lavoro».
Siamo in ritardo?
«Si molto. Le tecnologie avanzano e bruciano posti di lavoro, ma la società è ferma. Non abbiamo capito che la politica di difesa non porta lontano. È inutile difendere posti di lavoro che non avranno futuro, ma è necessario crearne di nuovi perché la tecnologia corre più veloce della società. E quindi anche il welfare va cambiato in questa direzione. La cassa integrazione non serve se passati due anni il lavoro devo andarmelo a cercare all’estero».
Le nuove tecnologie sono così temibili?
«No, ma in un Paese che è rimasto in ritardo bisogna accelerare il processo. Sappiamo da vari studi che il 50 per cento dei lavori che oggi facciamo spariranno. Mi stupiscono dunque quegli imprenditori e sono i più di che fronte a questi cambiamenti rispondono che lo sviluppo tecnologico non li interessa. Bene. Sono imprese destinate a chiudere. ».
Ma è un terreno che ci porta alle pensioni. Si va sempre più tardi.
Cosa vuole fare il governo?
«Il problema pensioni ha due vincoli. Il primo sono i vincoli di bilancio. L’altro è la longevità, che aumenta. Vanno coniugate queste due cose. Bisogna pensare a dei meccanismi di invecchiamento attivo. Uno è il part time agevolato».
Oggi porterete in consiglio dei ministri il capitolo voucher?
«E’ ragionevole immaginare che domani ci sia la stretta sui voucher ma l’ordine del giorno non è ancora arrivato».
E quale sarà la misura prevista.
«Verrà introdotto l’obbligo di un sms ogni volta che un’azienda usa in un tal giorno un voucher e a nome di chi. In questo modo gli ispettori se vanno a controllare potranno trovare i furbi. Quello che è stato fatto con i contratti a chiamata e guarda caso proprio quando lo abbiamo fatto c’è stato il boom dei voucher. E’ la linea che vogliamo tenere un po’ su tutti i fronti. Con il Jobs Act abbiamo fatto in modo che il lavoro a tempo indeterminato costi meno di quello a tempo determinato».
Repubblica – 10 giugno 2016