di Maurizio Belpietro. Meglio un uovo oggi o una gallina domani? A giudicare dai provvedimenti presi dal governo con la legge di stabilità si direbbe che Matteo Renzi sia convinto che sia meglio l’uovo oggi. Del resto non poteva che essere così: il presidente del Consiglio ha fatto della velocità la caratteristica principale del suo esecutivo e perciò non poteva che scegliere l’opzione immediata.
Dunque gli italiani potranno presto decidere di vedersi liquidato in busta paga il Trattamento di fine rapporto, ossia la cosiddetta liquidazione. In tempi passati il Tfr era considerato un tesoretto da mettere da parte per il futuro, quando il lavoratore avesse lasciato il posto in azienda. Ma per un certo periodo quella somma è anche stata considerata un accantonamento per le evenienze della famiglia e non a caso è stata spesso utilizzata per comprar casa ai figli.
Con Romano Prodi il Trattamento di fine rapporto divenne invece il pilastro della previdenza privata. Immaginando che, nel futuro, l’Inps non fosse in grado di garantire a tutti i pensionati un vitalizio sufficiente ad assicurare un buon tenore di vita, il professor Mortadella tenne a battesimo la nascita dei fondi pensione privati, (…) (…) applicando – per invogliare i lavoratori a investirvi – un trattamento fiscale di assoluto favore. Nel frattempo le cose sono peggiorate, perche se con la riforma previdenziale voluta da Prodi e dai suoi ministri comunque le prestazioni dell’Inps erano assicurate, con la riforma varata dal governo Monti e da Elsa Fornero il futuro dei pensionati è assai meno roseo. Non a caso, nonostante sia prevista dalla legge, l’ente previdenziale non ha ancora inviato ad ogni lavoratore la lettera in cui si simula quale sarà la sua pensione il giorno che si collocherà a riposo: lo facesse, gli italiani scoprirebbero che li attende un futuro di povertà, perché la previdenza non sarà con loro così generosa come è stata con i genitori.
A maggior ragione, dunque, ci sarebbe bisogno di una pensione privata, cioè di una previdenza complementare che si affianchi a quella pubblica. E invece no, consentendo ai lavoratori di incassare tutto e subito, nel futuro questi signori non avranno l’integrazione dell’assegno dell’Inps e nemmeno il tesoretto. Paradossalmente con questa mossa Renzi va incontro alle famiglie meno attrezzate per far fronte al futuro, evitando che queste correggano i loro comportamenti, un po’ come i prestasoldi che si aggirano intorno ai casinò e attendono i disperati che hanno perso tutto al gioco e non hanno nessuno che fa loro credito. Speculando sulla debolezza umana il premier vorrebbe spingere le famiglie che non ce la fanno ad arrivare a fine mese a spendere anche il Tfr pur di far ripartire i consumi
evidente che si tratta di un gioco pericoloso, perché nell’immediato (forse) si immette un po’ di liquidità nel sistema, ma nel futuro le persone che si giocano il Tfr al casinò di Renzi non avranno più neppure il paracadute. Tuttavia, se si aggiunge a queste considerazioni un altro elemento, si capisce che il presidente del Consiglio si sta giocando la nostra vita ai dadi. Il governo, aumentando la tassazione sui fondi previdenziali complementari, e dunque togliendo il vantaggioso trattamento fiscale, spinge la gente a dar fondo al barile. Così, se oggi in gran parte percepiscono meno di mille euro, domani incasseranno cifre anche più basse.
A tutto ciò si aggiunge poi un altro piccolo problemino. Le aziende italiane, non essendo molto capitalizzate con il Tfr ci campano, nel senso che, pur avendolo accantonato per conto dei lavoratori, prima che questi se lo godano usano quei soldi per la normale attività dell’impresa. Se ora quel denaro non c’è più ma va messo in busta paga, l’imprenditore deve trovare altri fondi con cui finanziare la propria attività e questi fondi non possono che arrivare dalle banche. Renzi ha parlato di accordi con gli istituti di credito, i quali però, essendo privati, non prendono ordini dal capo del governo, ma dalla testa (o dalla pancia visto quanto è accaduto ieri in Borsa) del mercato. Del resto le banche non applicano i tassi calmierati ma, come ha dimostrato nei giorni scorsi una bella inchiesta di pretendono interessi da strozzini, quasi al limite dell’usura. Tfr oppure no, secondo l’esecutivo non cambierebbe molto, ma il cambiamento lo misurerebbero sui loro bilanci le società, le quali sarebbero costrette ad aumentare considerevolmente l’indebitamento, rinunciando come è ovvio ai tassi di favore. Insomma, da qualsiasi parte la si giri, quella del Tfr in busta paga appare una stupidaggine. Anzi: un’idea pericolosa, che gli italiani rischiano però di scoprire quando ormai sarà troppo tardi.
PS. Ieri lo spread è tornato a salire e le borse a scendere. Renzi gioca a poker, ma i soldi sono nostri.
Libero – 16 ottobre 2014