Maccheroni ai quattro formaggi o un abbondante piatto di lasagne al ragù. Con nonni, genitori e figli riuniti attorno alla tavola. Così cominciava il tipico pranzo di casa degli anni Sessanta. Adesso invece, dopo una veloce colazione e uno spuntino al bar, se si riesce ci si vede a cena. Dove un piatto unico può bastare.
Dalla dieta sostanziosa degli anni del boom a quella più equilibrata e varia di oggi. Con porzioni più piccole, poca carne, più cereali e più verdure, magari bio. Perché la salute — ormai lo sappiamo — si cura anche mangiando. E di questi tempi un occhio al portafoglio è d’obbligo per tutti. Ecco come si nutrono gli italiani nel 2015.
Spendiamo di meno per comprare il cibo, soprattutto da quando c’è la crisi. Tra il 2006 e il 2014 i consumi delle famiglie per alimentari e bevande sono calati del 12,1 per cento (Rapporto Coop 2014 «Consumi e distribuzione»). Se nel 2011 sborsavamo 477 euro in media al mese, nel 2013 la cifra è scesa a 461. Una strategia di risparmio, certo. Ma non solo. Abbiamo anche imparato a evitare gli eccessi. «Subito dopo la guerra — spiega Alberto Capatti, storico della cucina e membro del comitato scientifico di Casa Artusi — gli italiani hanno compensato le privazioni cucinando, appena possibile, piatti grassi. La pasta era sempre accompagnata da salse e condimenti. La carne si mangiava quasi tutti i giorni». Poi sono arrivati gli anni Ottanta e la nouvelle cuisine. Abbiamo cominciato a imitare gli chef preparando in casa il filetto al pepe verde o il salmone «unilaterale» (cotto su un lato solo). Abbiamo imparato a prestare attenzione alla qualità dei prodotti e a diminuire le dosi. Due tendenze oggi all’apice: «Al centro della cucina attuale c’è la materia prima», dice Capatti. Insomma, invitiamo gli amici per provare insieme l’ultimo acquisto gourmet. «Trent’anni fa le nostre ricette prevedevano almeno un etto di pasta a testa — ricorda Paola Ricas, direttore de La Cucina italiana dal 1981 al 2006 —. Oggi invece al massimo 80 grammi». Anche Gualtiero Marchesi conferma: «Nel mio ristorante non si mangiano più di due piatti, al massimo si aggiunge il dolce. Mentre all’estero funziona ancora il menu degustazione da sette portate». Il pasto principale, poi, si è spostato alla fine della giornata: «Una volta si tornava a casa a mezzogiorno e le mamme cucinavano per tutti — spiega Ricas —. Adesso, come nel mondo anglosassone, ci ritroviamo attorno al tavolo la sera per il rito della cena». Ai fornelli ci stanno sempre di più anche gli uomini (il 38,8 per cento cucina spesso, solo l’8,5 mai) e pure la quasi totalità dei giovani. Inoltre quasi 42 milioni di italiani preparano in casa pizza, dolci, conserve, pane e yogurt.
Intanto i dati Istat fotografano un carrello ben diverso da quello di quarant’anni fa. Cala il consumo di carne, soprattutto bovina (dai 25 chili pro capite all’anno nel 2000 ai 19,3 del 2014) e aumenta quello di cereali (pasta, biscotti, riso). Crolla invece l’acquisto di pane: ne mangiamo sempre meno. Dal chilo abbondante a persona al giorno del 1861 — del resto c’era solo quello — ai 100 grammi scarsi degli ultimi mesi. Apprezziamo di più il pesce: nel 1973 rappresentava il 3,4 per cento del nostro carrello, oggi l’8,9. Cresce anche la passione per frutta e verdura: nel 2014, 22 milioni di italiani dichiarano di consumare più ortaggi rispetto a dieci anni fa (rapporto Saclà/Doxa). Insomma, mangiamo in modo più vario e sano. «Dopo anni passati a cibarsi solo di pastasciutta — sintetizza Ricas — il palato dell’italiano medio ha imparato ad assaggiare di tutto». Anche alimenti prima sconosciuti, come la quinoa, l’amaranto, il bulgur. O varietà nostrane riscoperte, dal cavolo nero toscano alle lenticchie umbre, dal bue grasso piemontese ai latticini campani. «Il cibo sta tornando indietro, sta recuperando la sua memoria storica — dice Oscar Farinetti, fondatore di Eataly —. Abbiamo finalmente capito che l’Italia ha una biodiversità pazzesca e stiamo puntando sulle materie prime eccellenti. Cuciniamo in modo meno elaborato ma andiamo al mercato per i prodotti freschi. Insomma, mangeremo anche poco pane e poca carne, ma più buoni». In effetti, dati alla mano, il 45,4 per cento degli italiani fa la spesa seguendo il criterio della qualità. E tra le tendenze alimentari c’è la dieta vegetariana (il 6,5 per cento della popolazione) e la voglia crescente di prodotti bio.
Alessandra Dal Monte – Il Corriere della Sera – 5 maggio 2015