Venerdì 8 giugno si decidono a Roma le sorti dell’Inran. Il Paese della Dieta mediterranea intende chiudere l’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, l’ente che ha promosso e diffuso nel mondo uno stile alimentare sempre più imitato.
Può sembrare un paradosso ma è così, da qualche settimana a Roma nei palazzi del Governo il ministro delle politiche agricole Mario Catania sta studiando il modo per tagliare le spese e l’Inran è nel mirino, insieme ad altri enti come Ismea, Ina… La notizia è di quelle che fanno venire i brividi, perché già Berlusconi aveva ridotto progressivamente i fondi all’Istituto, e adesso si cerca di accorpare, ristrutturare, riorganizzare… Ragionamenti complessi dietro i quali c’è il tentativo di chiudere definitivamente la ricerca italiana nel settore alimentare. La capacità di un governo si misura su due parametri che in apparenza non producono ricchezza, ma che rappresentano una garanzia per il futuro dei cittadini, stiamo parlando dell’istruzione scolastica e universitaria e della ricerca (anche alimentare).
Questa regola è però poco conosciuta dai governanti. C’è da chiedersi quanto Berlusconi, un personaggio che ha costruito il successo sul mattone e la televisione abbia riflettuto sulla correlazione tra scuola-ricerca e futuro del Paese. Il professore Mario Monti come docente universitario dovrebbe avere più dimestichezza con questi argomenti, ma forse negli ultimi anni è stato assorbito troppo dai problemi delle banche e si è distratto un po’.
Il progetto di “ristrutturazione” dell’Inran vuol dire tagliare ulteriormente i fondi e destinare all’esaurimento quel poco di ricerca indipendente alimentare che si fa in Italia. Per molto tempo ho sperato in un rilancio dell’Istituto, ma negli ultimi anni ho registrato un crescente senso di frustrazione e sfiducia da parte dei ricercatori, che hanno sempre portato avanti con passione e competenza il loro lavoro. Il paradosso si è avuto l’anno scorso con la nomina alla presidenza dell’istituto di un entomologo, abituato a disquisire di coleotteri e zanzare, ma poco avvezzo a parlare di proteine e nutrizione.
Un altro episodio sconosciuto ai più, riguarda lo storno da parte del governo Berlusconi nel 2010 dei soldi già stanziati per l’Agenzia italiana per sicurezza alimentare, che doveva sorgere a Foggia. Un’operazione portata avanti con l’accordo tacito dei due ministri dell’agricoltura e della salute, non disposti a cedere il loro potere ad un organismo in grado di supervisionare in modo organico sulla salute degli italiani. In controtendenza rispetto agli altri Stati europei, in cui questi enti operano da anni, e sono riconosciuti come delle preziose risorse.
Venerdì prossimo a Roma si discuterà del destino dell’Inran. Forse si è già deciso che la ricerca nel campo alimentare non serve, che le scoperte e le novità nel settore sono spazi da riservare alle aziende private per elaborare nuovi prodotti sempre più sofisticati e non sempre più salutari. Gli esperti del ministero pensano che senza l’Inran e senza la ricerca pubblica si possa lavorare lo stesso, e anche recuperare denaro senza grossi intoppi.
Qualcuno è convinto che l’investigazione in campo alimentare sia diventata un lusso per l’Italia. Perché allora i ministri della sanità e dell’agricoltura quando parlano di cibo, inneggiano sempre alla sicurezza e alla qualità dei nostri prodotti. Forse pensano che la sicurezza alimentare e la qualità siano attività da fare sguinzagliando i Nas in qualche operazione spettacolare alla ricerca del concentrato di pomodoro cinese! Non è così e voglio sperare che la situazione non precipiti. Un governo di professori non dovrebbe dimenticare il ruolo e l’importanza dell’educazione e della ricerca.
Ilfattoalimentare – 11 giugno 2012